Space&Law: Delimitazione dello Spazio Cosmico

Space-Law Avvocato Marco-Machetta Delimitazione spazio Cosmico

Allo stato attuale non esiste una definizione della linea di confine legalmente stabilita a livello internazionale.

Space& Law: l’Avv. Marco Machetta a Economia dello Spazio Magazine ci parla di delimitazione dello spazio cosmico

Uno degli aspetti essenziali, ai fini dell’applicazione dell’insieme di norme e principi destinati a regolare lo spazio e le attività che vi sono svolte, è costituito dalla identificazione della esatta delimitazione tra spazio aereo e spazio cosmico, vale a dire il confine che esiste tra l’atmosfera terrestre e lo spazio esterno.

Allo stato attuale non esiste una definizione della linea di confine legalmente stabilita a livello internazionale.

Tale questione è tutt’altro che semplice ed è stato uno degli argomenti di maggiore dibattito sin dall’inizio dell’era spaziale, anche se, sino a poco tempo fa, non ha costituito un elemento di pressante preoccupazione, considerato che sino al 2021, solo tre Stati avevano capacità di lancio nello spazio, vale a dire Stati Uniti, Russia e Cina.

Come noto, la situazione sta evolvendo rapidamente, anche a seguito dell’ingresso di nuovi soggetti privati per lo svolgimento delle proprie attività commerciali e per il costante aumento della presenza di satelliti ed oggetti spaziali provenienti da un crescente numero di Paesi, come mai accaduto in passato.

Da qui, la necessità di individuare criteri certi e condivisi sulla linea di demarcazione dalla quale inizia lo spazio cosmico, anche perché essa costituisce il presupposto necessario per determinare gli organi competenti ed il quadro normativo che regola la giurisdizione in tale settore.

Lo United Nations Committee on the Peaceful Outer Space, creato nel 1958, un anno dopo il lancio dello Sputnik, non raggiunse un accordo sul criterio più appropriato da adottare.

Alla base della mancata identificazione di un criterio univoco, vi è senza subbio l’assenza di una effettiva volontà politica, soprattutto da parte degli Stati dotati di supremazia aerea, per i quali l’insussistenza di una linea di confine internazionalmente riconosciuta appare certamente  utile, poiché senza di essa è possibile accedere nello spazio aereo di ogni Paese, senza che nessuna contestazione possa essere efficacemente sollevata al riguardo, purchè venga raggiunta una altezza sufficientemente elevata.

Ad esempio, sin dal 2001 la posizione ufficiale degli Stati Uniti è stata che la delimitazione dello spazio esterno non sia necessaria e che, nel caso in cui dovesse sorgere qualsiasi problema di natura pratica, ogni definizione è condizionata dallo stato dell’arte della tecnologia in quel momento; altri obiettano che proprio i progressi tecnologici costituiscono, viceversa, motivo che rende necessaria  una certezza giuridica su tale questione.

L’assenza di una definizione universalmente condivisa è testimoniata anche dal fatto che nessuno dei cinque trattati in materia spaziale conclusi nell’ambito ONU, contiene un criterio in tal senso, nonostante l’applicazione di numerose disposizioni dipenda proprio da tale presupposto. Analoghe considerazioni possono essere avanzate anche in relazione ai voli suborbitali – di carattere prevalentemente scientifico, ma, sempre più, anche per trasporto umano – vale a dire quelli ove l’oggetto deve essere lanciato ad una velocità sufficiente per raggiungere un’altitudine di circa 80,5 km., ma inferiore a quella minima affinchè esso possa entrare nell’orbita del corpo celeste che, pertanto, non viene raggiunta.

Questi voli suborbitali hanno fatto sorgere nuove questioni, sia in relazione alla natura incerta del velivolo (aeromobile o navicella spaziale), sia, soprattutto, in tema di regolamenti su radiocomunicazioni, poiché i veicoli che effettuano tali voli non sono né aeromobili, né satelliti o stazioni orbitanti (secondo la definizione contenuta nella risoluzione 772 del 2019 della Agenzia ONU International Telecommunication Union – ITU).

I CRITERI PRINCIPALI

Per l’individuazione di una linea di confine, sono stati suggeriti diversi metodi, ma le posizioni principali possono essere così riassunte.

In primo luogo, la linea di Karman,  posta a 100 kilometri sopra il livello del mare, così denominata dallo scienziato americano/ungherese che l’aveva sviluppata, che costituisce, allo stato attuale, la linea di confine “ufficiale” utilizzata dal World Air Sports Federation (FAI).

Theodore Von Karman aveva scoperto che ad una certa altitudine, l’atmosfera diventa così sottile che per mantenere l’oggetto in volo è necessario viaggiare ad una velocità più elevata di quella orbitale, non essendo a tale fine più sufficiente il solo sostentamento dell’aria (la c.d. portanza); in altri termini, a tale altitudine, per effetto delle forze centrifughe, le meccaniche orbitali (c.d. free fall) sono più importanti delle operazioni aerodinamiche (c.d. lift).

Tale punto venne individuato da Von Karman in 83,8 kilometri sopra il livello del mare, successivamente arrotondato in 100 kilometri.

Come accennato, mentre l’uso della linea di Karman ha ampio supporto a livello internazionale, essa non è mai stata ufficialmente adottata e condivisa.

I suoi detrattori hanno, in particolare, sostenuto che l’arrotondamento a 100 km., oltre a non avere basi scientifiche, non corrispondeva neanche ai calcoli dello scienziato che l’aveva scoperta e che gli aeromobili perdono il controllo aerodinamico ad una altitudine molto più bassa; altri ancora hanno evidenziato che il progresso tecnologico renderà tale demarcazione sempre più obsoleta.

Tali critiche hanno lasciato spazio alla introduzione di ulteriori criteri.

Ad esempio, la cd. Astronaut Badge Line (cinquanta miglia sopra il livello del mare) individuata sulla base dell’onorificenza che la NASA (National Aeronautics and Space Administration) e la FAA (Federation Aviation Administration) attribuiscono agli astronauti che hanno superato tale linea di confine;  essa non rappresenta la posizione ufficiale del governo americano, né, peraltro, di qualsiasi altro Paese, tanto più di quelli con maggiore supremazia in tale settore che non hanno, naturalmente, interesse ad ampliare il club esclusivo degli Stati che hanno capacità di sviluppare voli spaziali che sovrastano i territori di altri Paesi.

Infine, sono stati suggeriti altri criteri di natura funzionale, basati non più sull’altitudine, ma, ad esempio, sulla finalità della missione;  tale prospettiva, in realtà, invece che risolvere la questione in maniera univoca, crea ulteriori ambiguità, essendo basata su una valutazione soggettiva che, per di più, potrebbe essere utilizzata strumentalmente per scegliere il regime giuridico più favorevole.

Come accennato, la questione non è meramente accademica, ma ha dirette conseguenze sul regime giuridico applicabile poiché, secondo il diritto internazionale, gli Stati esercitano la loro sovranità sullo spazio aereo sopra il loro territorio,  soggetti a norme internazionali quali la Convention on International Civil Aviation conclusa a Chicago nel 1944, il cui articolo 1 ribadisce proprio tale principio; al contrario, nello spazio non esiste sovranità esclusiva, come ribadito dall’art. 2 dell’Outer Space Treaty del 1967.

La delimitazione dello spazio esterno ha, quindi, dirette conseguenze sul piano della responsabilità, sul controllo del veicolo utilizzato, sul diritto di passaggio innocente, sussistendo su tali questioni, notevoli differenze tra il diritto aereo ed il diritto spaziale.

I due regimi giuridici differiscono sull’ambito geografico di applicazione (spazio aereo e spazio esterno) sull’oggetto (aeromobili e oggetti spaziali), sui profili di responsabilità (che, nel diritto aereo, ricade sulle compagnie aeree o sull’operatore aereo, nel diritto spaziale sullo Stato), sulla sicurezza (nel diritto aereo vi sono degli standards di navigazione ed incolumità non ancora previsti a livello normativo nel diritto spaziale) e sulle prescrizioni in materia  di emissioni e di rumore (normate nel diritto aereo e contenute in linee guida ed impegni non vincolanti nel diritto spaziale).

L’ORBITA GEOSTAZIONARIA

L’orbita geostazionaria è un’orbita circolare, il cui periodo di rivoluzione coincide con quello terrestre, ove un satellite può rimanere in un punto stabilito sopra la Terra, posto sopra la linea dell’Equatore ad una altezza di 35.786 km.

Tale orbita, con le relative frequenze, è quella più ampiamente utilizzata dagli operatori nazionali nel settore delle telecomunicazioni e previsioni del tempo; solo un numero limitato di satelliti può essere presente in tale orbita, anche per evitare collisioni con altri satelliti ed interferenze radio.

In passato, alcuni Stati equatoriali hanno sostenuto che le orbite geostazionarie siano parte delle loro risorse nazionali sul presupposto che la loro sovranità si estende sino a tali orbite.

Tali rivendicazioni hanno dato luogo alla Dichiarazione di Bogotà del 3.12.1976 da parte del Brasile, Colombia, Congo, Indonesia, Equador, Uganda, Kenia e Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire); in sostanza, tali Stati, muovendo dal presupposto che queste orbite siano una risorsa naturale scarsa e costituiscano un “fatto fisico”, dipendendo dalla gravità terrestre, sostenevano che esse non debbano essere considerate parte dello spazio esterno e che il segmento di orbita corrispondente sia parte del territorio sottostante e soggetto alla sovranità di quello Stato.

Tale dichiarazione è rimasta priva di supporto internazionale, anche se gli stessi Stati che l’avevano pronunciata, pur non avendola reiterata allo stesso modo, hanno continuato a sostenere che la delimitazione dello spazio esterno debba tener conto di tali asseriti diritti.

Come accennato, l’articolo 2 dell’Outer Space Treaty afferma espressamente che lo spazio esterno non è soggetto a pretese di sovranità e, pertanto, l’individuazione di una linea di confine incide in modo determinante anche su tale questione.

L’uso dell’orbita geostazionaria ha continuato ad essere un tema ricorrente nell’agenda del COPUOS, pur nella considerazione del ruolo ricoperto dall’ITU per assicurare la sicurezza, la cooperazione e la ripartizione delle radiofrequenze e delle orbite dei satelliti di telecomunicazione.

Tale Agenzia si occupa di gestire una risorsa sempre più congestionata e, nella maggior parte dei casi, basata su una allocazione dei satelliti sul principio first come, first served che sta progressivamente riducendo il numero degli slots orbitali disponibili, tanto che nel 2022 l’ITU ha  adottato una serie di risoluzioni finalizzate a promuovere principi di sostenibilità e cooperazione anche con riferimento alle nuove tecnologie.

CONCLUSIONI


In conclusione, i criteri che hanno come obiettivo quello di delimitare questa sorta di frontiera verticale, possono essere individuati o in base ad un approccio diretto, che tenta di distinguere tra i due ambienti naturali (ad esempio, la linea di Karman, la portanza aerodinamica o il punto più basso del volo orbitale) o un approccio indiretto o funzionale secondo il quale lo spazio esterno dovrebbe essere definito in termini di strumenti utilizzati o in base alle finalità della missione.

Appare evidente che la determinazione dell’esatta linea di confine è di fondamentale importanza ai fini della risoluzione di eventuali controversie internazionali, perché da essa dipende l’ambito di applicazione del regime giuridico destinato a regolare le attività che vi avranno luogo e, di conseguenza, l’impatto sugli aspetti operativi della ricerca e dell’esplorazione dello spazio in generale.

Da ultimo, occorre segnalare che il limite, legalmente rilevante ma non giuridicamente definitivo, è attualmente condizionato da un punto di vista pratico, dal fatto che gli aeromobili non sono in grado di oltrepassare il limite indicativo di 18 km. oltre il livello del mare; inoltre, il limite di 150 km. è considerato la soglia di rientro per i sistemi spaziali.

Pertanto, sussiste una fascia intermedia, definita anche near space, principalmente destinata alla ascesa o discesa (ai fini dell’atterraggio), di oggetti spaziali, sempre più trafficata da velivoli suborbitali, palloni  ad alta quota o stratostati, pseudoliti (pseudo-satellites), droni d’alta quota ed altri.

Tale circostanza ha indotto, tra l’altro, diversi  Stati e studiosi a suggerire l’introduzione di una zona di rispetto sul modello della Zona Economica Esclusiva prevista dalla Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, ove lo Stato adiacente conserva i diritti sovrani per l’esplorazione, lo sfruttamento, la conservazione e la gestione di risorse naturali (di tale area), mentre le altre nazioni godrebbero della libertà di navigazione e di volo e di ogni altro uso legittimo a livello internazionale connesso a tali libertà.

La materia è oggetto di crescente attenzione, tanto che il Copuos (Committee on the Peaceful Uses of Outer Space) ha predisposto nel 2021 un documento denominato “Promoting the discussion of the matters relating to the definition and delimitation of outer space”, attualmente oggetto di discussione nel relativo Working Group.

La condivisione di un criterio di delimitazione porterà indubbi benefici all’economia dello spazio, in termini di maggiore certezza sui profili di responsabilità e sugli aspetti regolamentari e, in particolare per le imprese, di remunerazione effettiva dell’investimento, considerato che le obbligazioni mutano drasticamente in base al regime giuridico applicabile.

Space-Law Avvocato Marco-Machetta Delimitazione spazio Cosmico
Avv. Marco Machetta

Avvocato esperto in diritto internazionale, diritto marittimo e commerciale. Ha collaborato con il Prof. Umberto Leanza, partecipando alle attività di studio e di ricerca della cattedra di diritto internazionale della Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, in particolare in materia di Diritto Internazionale del Mare, di regime giuridico dei satelliti e dell’orbita geostazionaria e sul regime giuridico dell’Antartide. Ha partecipato, in più occasioni, per conto del Ministero degli Affari Esteri, in qualità di esperto giuridico, ai lavori della Commissioni O.N.U. Uncitral (United Nations Commission on International Trade Law); è stato, altresì, membro della delegazione italiana ai lavori della Hague Conference on Private International Law.