Intervista a Luca Cardello, Ricercatore in geologia, docente presso l’Università di Sassari e membro del Comitato per la candidatura dell’Italia all’Einstein Telescope
Domenica 28 aprile, nell’ambito della nona edizione di Lievito, festival che si svolge da alcuni anni a Latina con la direzione artistica del regista Renato Chiocca e la direzione scientifica di Gianni Morelli, è stato organizzato un incontro all’insegna della scienza, tema molto presente in un’edizione che è culminata con la partecipazione del Premio Nobel per la Fisica 2021 Giorgio Parisi.
Al centro della terzultima giornata l’Einstein Telescope, il rivoluzionario rivelatore interferometrico europeo di onde gravitazionali, che l’Italia spera di poter ospitare sul proprio suolo, motivo per il quale un gruppo di scienziati sta lavorando alacremente al Progetto di Candidatura del nostro Paese. Gruppo del quale fa parte anche il Ricercatore in geologia, originario di Latina, Giovanni Luca Cardello che in un incontro molto interessante e partecipato ha spiegato il legame tra spazio e geologia nel quadro della candidatura italiana presso l’Unione Europea a ospitare il Telescopio Einstein.
Cardello, docente presso l’Università di Sassari e membro del Comitato di supporto alla candidatura italiana, nel corso dell’evento ha illustrato la proposta che potrebbe aprire nuove frontiere nella nostra comprensione dell’universo. Grazie alla sua esperienza in divulgazione e nelle indagini geologiche del sito candidato, Cardello ha esposto i progressi compiuti nell’area italiana candidata intorno alla miniera dismessa di Sos Enattos in provincia di Nuoro.
Ma andiamo per gradi.
Il Telescopio Einstein sarà quella struttura sotterranea progettata dai fisici europei per esplorare il cosmo con una precisione senza precedenti, catturando anche le sfumature più sottili delle onde gravitazionali. Questo strumento è di fondamentale importanza per investigare il misterioso spazio profondo e per comprendere fenomeni cosmici ancora largamente sconosciuti.
L’Unione Europea ha lanciato la sfida, aprendo le candidature dei Paesi membri per ospitare questo strumento di ricerca cruciale. L’Italia ha risposto con determinazione, presentando la Sardegna come sede ideale per il Telescopio Einstein e impegnandosi a finanziare circa 900 milioni di euro per competere con altri candidati come Belgio – Olanda (presentatisi congiuntamente) e Germania, la quale non ha ancora formalizzato la sua candidatura ufficialmente.
La scelta della Sardegna è stata basata su una valutazione attenta dei molteplici fattori naturali e legati alle caratteristiche socio-economiche del territorio.
Affinché il Telescopio Einstein funzioni correttamente è infatti essenziale che l’ambiente circostante sia privo di interferenze che potrebbero compromettere le delicate misurazioni.
Il progetto principale prevede la realizzazione di tre tunnel lunghi circa 11 km, che collegano tra loro tre torri laboratorio. L’intera struttura deve essere coperta da almeno 100-150 metri di roccia.
Questa complessa infrastruttura consentirà al Telescopio Einstein di operare in condizioni ottimali, aprendo così nuove frontiere nella ricerca astronomica, ingegneristica e geologica.
Se l’Italia sarà scelta come sede per il Telescopio Einstein, riceverà uno supporto economico significativo e darà forza a tante aziende per rispondere alla sfida tecnologica che dovrà avvenire nel rispetto dell’ambiente. La vera sfida sarà garantire lo sviluppo della regione ospitante e il rispetto dell’ambiente e del “silenzio sismico” richiesto dall’opera.
Per Economia dello Spazio abbiamo incontrato Luca Cardello per approfondire ulteriormente l’argomento.
Cardello: una collaborazione nata nel 2020
Quando ha cominciato a collaborare a questo progetto?
“Ho cominciato a collaborare con l’Università di Sassari dove sono Ricercatore e Docente nell’ottobre del 2020 e per la quale sono titolare di due corsi – spiega Cardello -: Rilevamento geologico e Dinamica della Terra. Il tutto è iniziato vincendo un concorso pubblico finanziato da un progetto di interesse nazionale, i bandi PRIN, che sono della Direzione Generale della Ricerca del MUR. Dopodiché il rinnovo è avvenuto in seguito dell’interesse dell’Istituto di Fisica Nucleare a tenermi per altri due anni, fino al compimento delle analisi che stiamo facendo per supportare le argomentazioni a favore della candidatura dell’Italia a ospitare il Telescopio Einstein in Sardegna”.
Quale è stato il percorso che l’ha portata a questa importante collaborazione?
“Mi sono laureato in Geologia a La Sapienza e poi ho conseguito un Dottorato al Politecnico Federale di Zurigo. Dopodiché ho seguito vari progetti geologici: prima sono stato in Francia per due anni per un progetto europeo ERC e poi sono tornato in Svizzera, a Ginevra, per un progetto che aveva a che fare con la geotermia, dopodiché in Sapienza ho seguito un progetto che si occupava della sismicità della crosta in Appennino. Per poi approdare a Sassari”.
È la prima volta che applica la geologia allo spazio?
“Sì! Ci sono dei colleghi che si occupano di planetologia e quindi studiano le risorse e i rischi (che è ciò che fa un geologo – ndr) su altri pianeti come ad esempio su Marte. In questo progetto mi occupo proprio di questi due aspetti, risorse e rischi, perché un conto è dire che la Sardegna è stabile un altro è provarlo e riconoscerne le cause nel tempo geologico, ricostruendone l’evoluzione nei milioni di anni”, spiega il ricercatore.
“Io e i miei colleghi – continua Cardello – stiamo cercando di quantificare i potenziali rischi naturali e dire a che profondità si trovano le rocce, così da aiutare gli ingegneri e i fisici nella progettazione delle infrastrutture. Questa minimizzazione dei rischi serve a evitare interferenze con ciò che deve essere misurato”.
Quanti geologi stanno collaborando?
“Nel complesso siamo qualche decina di ricercatori attivi in varie parti d’Italia e d’Europa, ma anche del mondo, dal momento che nelle indagini sono coinvolte anche Australia e Giappone. Si tratta di una squadra variegata con vari tipi di geologi. A Sassari siamo due su questo progetto. A Cagliari ce ne sono altri.
Il centro è Sassari perché la proposta è arrivata dal suo ex Rettore Massimo Carpinelli, che poi è diventato professore ordinario a Milano e direttore dell’Osservatorio Gravitazionale Europeo. Da qualche mese sono membro comitato Esecutivo Strategico di TETI – Team per ET in Italia dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare come referente per la geologia”.
Entro quando tutto questo?
“Nella primavera del 2025 – continua Cardello – riceveremo la relazione della ditta appaltante, che è partita dai nostri studi e che, come previsto dal bando di gara pubblico, deve eseguire una serie di sondaggi, che le permettano di progettare la struttura del sito sardo. Noi stiamo andando avanti con i dati della geologia di superficie e delle miniere, loro aggiungeranno tantissime informazioni di sottosuolo in più trasformando una delle zone meno conosciute del nostro Paese in una delle più esplorate. Il nostro obiettivo è ridurre il rischio, anche per questione di costi e progettualità”.
E in merito alle analisi Cardello aggiunge: “Bisogna dire che tipo di rocce ci sono in profondità, se c’è circolazione d’acqua, dove è, cosa che accade di solito dove ci sono rocce rotte da antichi movimenti dove l’acqua scorre. In sostanza, aiutiamo gli ingegneri a realizzare il miglior piano possibile, con il minor rischio e il minor costo e il miglior risultato. Poi dopo la primavera del 2025 verrà messa a posto la candidatura, e questo dipende anche dagli accordi che ci saranno con gli olandesi e i belgi, perché vogliamo fornire delle regole condivise. Ci saranno dei capitoli da riempire tra i quali la geologia è uno dei tanti. Poi c’è ingegneria, architettura, fisica…”.
Perché la Sardegna è il candidato ideale?
“La Sardegna si presenta come un candidato ideale per questa selezione, grazie alla presenza di rocce cristalline, relativamente impermeabili e non attraversate da faglie sismiche, elementi cruciali per garantire la stabilità dell’infrastruttura. Per esempio il sito Belga-Olandese ha rocce sedimentarie se non addirittura sedimenti ed è al margine di una zona sismica tanto quanto alcune parti dell’Appennino.
Inoltre, per quanto riguarda la Sardegna la distanza da fonti di rumore antropico e naturale e da corpi in movimento che possano perturbare il campo gravitazionale, rendono la nostra isola un ambiente ottimale per le osservazioni cosmiche nel nostro continente”.
Quale è il plus della Sardegna?
“L’Italia non poteva candidare di meglio, perché la Sardegna è la regione italiana più lontana dai limiti di placca. La crosta è divisa in varie porzioni ognuna delle quali si muove in determinate direzioni. Dentro la placca europea la Sardegna è uno dei luoghi più stabili. Il limite di placca fa il giro d’Italia passando da Alpi, Appennini, Africa.
Quindi la Sardegna, è la più lontana da queste sorgenti di rumore naturale. Per i movimenti geodinamici che durano milioni di anni, in questo momento la Sardegna è una delle aree più stabili. Questo si sa dalla letteratura e dal registro sismico sardo, che è come un libricino rispetto al grande registro sismico degli Appennini, il quale potrebbe essere comparato a una grande biblioteca. Quindi il nostro Paese meglio della Sardegna non poteva offrire.
E, inoltre, l’area individuata, la Barbagia settentrionale in provincia di Nuoro è estremamente poco abitata e dedita principalmente alla pastorizia, cosa che favorisce che ci sia basso rumore naturale e basso rumore antropico e poi non ci sono treni che possono dar fastidio, autostrade o poli industriali. La sfida sarà riuscire a costruire il laboratorio in modo tale che qualunque aggiunta andremo a fare comunque non andrà ad intaccare le misure. Ma questo problema lo avranno anche i belgi e i tedeschi”.
Quale è il limite del Belgio?
“Che hanno un fazzoletto di terra, vicino a sorgenti di rumore naturale e antropico: è una zona sismica e vicino ci sono le città di Liegi, Maastricht e Aquisgrana, oltre che il passaggio del treno francese ad alta velocità. Quindi loro partono in difesa, cioè devono garantire che tutte queste problematicità non andranno ad intaccare le misure. Noi dobbiamo invece dimostrare che il nostro è uno dei migliori siti che l’Italia poteva candidare e quantificarlo al meglio, dimostrando i risultati di un insieme di analisi alcune molto particolari”, spiega Cardello.
Perché mandate le rocce in Giappone, Australia, Scozia per analizzarle?
“Per alcune analisi specifiche ci sono pochi laboratori nel mondo in grado di eseguirle. Alcuni fanno analisi talmente di dettaglio, specializzate, che la scelta è davvero limitata. In Giappone un nostro collega sta studiando la forma dei minerali argillosi più piccoli formatesi per frizione dentro alcune zone di faglia, che abbiamo riconosciuto sul terreno. In Australia, a Perth, stiamo cercando di datare questi minerali così da poter dire – speriamo – che anche le poche piccole faglie che abbiamo riconosciuto sono antiche… vedremo”.
E per quanto riguarda la Scozia “grazie alla collaborazione con Chiara Amadori dell’Università di Pavia, stiamo cercando di datare invece le tempistiche del raffreddamento delle rocce, cosa che ci permetterà di misurare i tempi dell’erosione e dunque della stabilità dell’area candidata”, spiega Cardello.
Se l’Italia vincesse questa gara questo rappresenterebbe anche un grande indotto per il nostro Paese.
“Se l’Italia verrà selezionata dalla Commissione Europea, quest’ultima aggiungerà la sua metà per raggiungere la somma di circa 2 miliardi di euro necessaria a costruire il Telescopio Einstein. In quel caso, a beneficiarne sarà soprattutto l’economia del nostro Paese. Immaginiamo cosa questo significhi per le aziende che si occupano di tecnologia e quelle che saranno impegnate nella realizzazione e manutenzione dell’opera. Inoltre si devono realizzare cose che non esistono, quindi immaginiamo lo sforzo di innovazione e ricerca che deve fare il nostro continente”.
Quindi ET rappresenterebbe “un motore per la ricerca a livello internazionale anche e soprattutto per l’economia italiana. La grande ricerca astronomica, ingegneristica potrebbero trovar casa in Italia. La geologia è un po’ l’iniziatrice, ma potrebbe tornare per quanto riguarda l’esplorazione”, conclude Cardello.
Quante persone si immagina che andranno a lavorare in Sardegna qualora dovesse vincere sulle altre concorrenti?
“Si parla di almeno 3mila persone a regime che andranno a lavorare per il telescopio Einstein, ma la superficie del sito vincitore potrà rimanere come appare oggi. Nel sito sardo che è a vocazione pastorale per esempio è già previsto che non ci saranno altro tipo di attività ad interferire con le rilevazioni del Telescopio Einstein. La stessa attenzione c’è anche nei confronti delle pale eoliche che dovranno continuare a stare ad una distanza minima di 15 km”.
Quale è il suo sogno?
“Desidero accompagnare questo Progetto fino al suo compimento e crescere con una squadra di persone dedite allo studio della geologia multidisciplinare che esplora l’evoluzione nello spazio e nel tempo della crosta”.
Credit foto Luca Cardello: Stefano Ingravalle – LIEVITO (pagina Facebook https://www.facebook.com/lievitolatina)
Giornalista, Capo Redattrice di Economia dello Spazio Magazine,Economia del Mare Magazine,Space&Blue, Vivere Naturale Magazine.