La governance ed i diritti di proprietà sulle risorse dello Spazio

Space-Law Avvocato Marco-Machetta Delimitazione spazio Cosmico

L’approccio multilaterale che ha caratterizzato i primi decenni di attività spaziale, basato essenzialmente sulla cooperazione internazionale e sul concetto di spazio quale bene comune, le cui risorse erano destinate all’umanità, ha subito negli ultimi tempi notevoli cedimenti.

Lo sfruttamento economico e la commercializzazione delle attività spaziali, nel contempo causa ed effetto dell’imponente entrata in scena degli operatori privati, sono divenute una prospettiva non più a lungo termine, così come le loro dirette implicazioni sulla nostra vita quotidiana (internet ad alta velocità, telecomunicazioni, navigazione, servizi medici da remoto, transazioni finanziarie, mappatura climatica ed ambientale). Analogamente, sono divenute più concrete ed imminenti, per effetto dei progressi tecnologici dovuti anche agli investimenti ed alle politiche di start-up nel settore, le possibilità di sfruttamento delle risorse minerarie presenti nei corpi celesti; per di più  in un contesto globale proiettato verso la decarbonizzazione e con costi di estrazione da fonte terrestre altamente significativi in termini sociali ed ambientali e con una domanda nel settore delle tecnologie incrementata a dismisura.

Il concetto di risorse, nel quale rientrano, secondo la definizione dell’Hague International Space Resources Working Group, le risorse abiotiche estraibili e/o rinvenibili in situ nello spazio extra-atmosferico, includono molti minerali di rilevante valore economico, quali metalli rari e leghe di platino.

Gli esperti hanno dato indicazioni circa la presenza di grandi quantità di regolite (utile quale materiale grezzo per costruzioni in larga scala) di Helium-3 (una virtualmente illimitata fonte di energia per potenziali fusioni nucleari) e di ghiaccio lunare (necessario quale sostentamento per la vita umana e fonte di acqua, aria ed idrogeno per i viaggiatori spaziali) presente in crateri costantemente all’ombra, dei quali almeno 40 si stima ne contengano 600 milioni di tonnellate, sufficienti per lanciare uno space shuttle al giorno per 2.200 anni).

Poiché la presenza di tali metalli ha un valore economico estremamente importante e considerato che essi sono generalmente rinvenuti in prossimità del nucleo interno della Terra, la sola possibilità di rinvenirli nei più accessibili strati della crosta lunare, li rende ancora più preziosi.

Nel 2021 gli scienziati hanno scoperto che in asteroidi prossimi alla Terra sono presenti importanti riserve di ferro, nickel e cobalto superiori alle riserve terrestri. A tale fine, sono state effettuate e sono in corso missioni esplorative, come, ad esempio: quella effettuata nel 2005 dalla Agenzia Spaziale Giapponese Jaxa, con la sonda Hayabusa sull’asteroide 25143 Itokawa, ove sono stati recuperati campioni dal suolo; i programmi della Agenzia Spaziale Cinese, che ha programmato lo sbarco di missioni umane sulla Luna e la costruzione di una base lunare entro il 2030 (la Cina è stata la prima nazione che è riuscita ad effettuare un allunaggio controllato di un proprio modulo nel Gennaio 2019, nel lato invisibile e più lontano della Luna, nell’ambito del programma di esplorazione Chang’e);inoltre, nel 2020 la NASA ha stipulato contratti con diverse Compagnie per l’estrazione di piccole quantità di regolite lunare entro il 2024. Sempre la NASA ha organizzato la missione della sonda Osiris-rex, rientrata nella Terra nel Settembre 2023, con alcuni campioni  di studio dell’asteroide Bennu che, dalle prime rilevazioni, hanno fatto emergere importanti quantità di regolite.

I Near Earth Asteroids (NEA) gravitano in orbite ad una distanza sino a circa 45 milioni di chilometri, sono attualmente stimati in circa 30.000, ma ogni anno se ne scoprono di nuovi.

Le loro dimensioni variano da un massimo di 950 chilometri di diametro, come quello più grande, Ceres, sino a poche decine di metri; se un asteroide (ma anche comete o i rispettivi frammenti) giunge a meno di 7,5 milioni di chilometri dalla Terra, è classificato come PHO (Potentially Hazardous Object).

Allo stato attuale, siamo ancora in una fase preliminare rispetto alla concreta possibilità di attività estrattive, se si consideri che, ad essere ottimisti, la prossima spedizione umana sul suolo lunare non avverrà prima del 2025 con la missione Artemis III.

Come accennato, tuttavia, i progressi tecnologici stanno fornendo rilevanti informazioni per lo sviluppo delle tecnologie in materia di allunaggio ed estrazione di risorse dalla Luna e dagli asteroidi e corpi celesti, di cui sono un importante esempio due recenti missioni: la prima, denominata DART (Double Asteroid Redirection Test) della NASA, ha raggiunto il suo obiettivo il 26.9.2022, riuscendo a deviare l’orbita dell’asteroide DIMORPHOS, mediante l’impatto di una navicella spaziale priva di uomini, con energia cinetica; la seconda, denominata HERA della Agenzia Spaziale Europea, ha utilizzato due satelliti miniaturizzati (Milani e Juventas) per valutare i risultati dell’impatto nel dettaglio, studiando per la prima volta l’interno di un asteroide tramite radar ed accumulando preziose conoscenze in materia di gravità e comunicazioni interstellari nello spazio.

Nel documento Space Resource Strategy dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), pubblicato il 23.5.2019, che copre il periodo sino al 2030, vengono riportati i benefici economici derivanti dal potenziale impatto dello sfruttamento delle risorse: in particolare, da uno studio commissionato dal Governo Lussemburghese, i ricavi di mercato per il periodo 2018 – 2045 sono stimati in 73-170 miliardi di euro, oltre agli ulteriori benefici previsti sul cluster industriale e di natura sociale, strategica ed ambientale.

Ed ancora, nell’International Space Exploration Coordination Group (ISECG) vengono descritti gli attuali programmi di esplorazione spaziale di 15 agenzie spaziali del mondo, ai quali si aggiungono le molteplici iniziative di enti internazionali governativi, molte delle quali supportate dalla NASA mediante il programma Commercial Lunar Payload Service (CLPS), come quella della Blue Origin (di Jeff Bezos), Ispace (fondata da Takeshi Hakamada) e Moon Express (azienda USA).

Alla base di queste missioni, così come per le attività di tipo minerario, vi è la necessità che gli astronauti possano trovare o produrre in loco risorse per respirare, ripararsi, nutrirsi, viaggiare e condurre le loro missioni, tenuto anche conto che la possibilità di utilizzare risorse locali riduce enormemente la massa da trasportare dalla Terra e, quindi, i costi di tali progetti.

Tale assunto è alla base dei programmi di In-situ Resource Utilisation (ISRU) intrapresi da NASA, dall’ESA ed altre Agenzie, finalizzati allo sviluppo di tecniche per la localizzazione, estrazione e produzione di risorse ed alla affidabilità di tali missioni, nonché alla eliminazione di impatti ambientali.

Tra gli obiettivi perseguiti, vi sono quelli di individuare quali risorse siano di primario interesse ai fini di una esplorazione sostenibile dello spazio; di identificare e creare nuove opportunità scientifiche ed economiche per l’industria europea, anche con l’ingresso di nuovi soggetti.

L’assenza di un quadro regolatorio globale e l’inadeguatezza dei cinque trattati ONU, nello specifico sulle questioni relative ai diritti di proprietà e titolarità, responsabilità, risoluzione delle controversie, licenze e registrazioni di c.d. security interests, ha lasciato spazio alla creazione di distinte legislazioni nazionali, con il concreto rischio di norme e diritti in contrasto tra loro; inoltre, non si è ancora giunti, nonostante l’impegno delle Agenzie ONU coinvolte (UNOOSA ed UNCOPUOS), ad un sistema normativo globale vincolante in tema di responsabilità e di protezione ambientale, sia sulla Terra che nel cosmo, in relazione alle attività spaziali.

I diritti di proprietà

Gli esperti sostengono che l’attività mineraria nello spazio costituirà nei prossimi decenni una delle aree di maggiore attività commerciale nello spazio e che vi siano le potenzialità tecniche ed economiche  per ricavare dal ghiaccio lunare, ossigeno ed idrogeno, quale carburante per i velivoli spaziali, per sostenere il funzionamento di basi lunari occupate da umani e per estrarre, dagli asteroidi più prossimi alla Terra, acqua e preziosi minerali, compresi la regolite, carbonio, leghe di nichel ed acciaio e metalli del gruppo del platino.

L’assenza di un quadro uniforme, certo e coerente costituisce, non solo un freno agli investimenti ed alla ricerca, ma anche una potenziale fonte di conflitti geo-politici tra Stati, sia in relazione ai divari esistenti in campo tecnologico, sia rispetto a politiche legislative autonome che stabiliscono a livello domestico i cd. Property rights in aree, come noto, non soggette ad alcuna sovranità nazionale.

In termini generali, vi è un consenso pressoché unanime sul fatto che la Luna e gli altri corpi celesti non possano essere posseduti da qualsiasi Paese o ente privato, come espresso, in termini chiari, dall’articolo 2 del Trattato sullo Spazio che preclude  appropriazioni nazionali o pretese di sovranità.

Tuttavia, nonostante tale premessa, vi è un ampio dibattito sulla titolarità e sull’uso delle risorse estratte o raccolte in situ.

Alcuni Paesi, in primis Stati Uniti e Lussemburgo, hanno emanato legislazioni nazionali che espressamente garantiscono ai propri cittadini la titolarità delle risorse e la possibilità di rimuoverle dal luogo dove sono state estratte; a tale riguardo, anche il Trattato sulla Luna, pur rimasto inattuato per le esigue adesioni da parte della Comunità internazionale, sembrava consentire, per esclusione, tale diritto, nella sua stringata definizione contenuta all’art. 11 di ciò che non può essere posseduto.

Al contrario, il Trattato dello Spazio, oltre il principio generale contenuto all’articolo 2, non contiene alcuna esplicita previsione in materia di risorse. Tale lacuna ha dato luogo a due diverse interpretazioni sulla legittimità dell’uso delle risorse dello spazio: la prima, sostiene che lo space mining è proibito dal Trattato, trattandosi di una esplicazione del diritto di proprietà e che comunque sarebbe precluso in considerazione del divieto di appropriazione contenuto all’articolo 1 del Trattato (“The exploration and the use of outer space … for the benefit and in the interest of all countries” e la definizione di spazio esterno e dei corpi celesti quale “province of all mankind”); difatti, ancorchè non sia ancora chiaro come tale istituto possa essere applicato nello spazio, nell’unico precedente a disposizione, nell’ambito dell’alto mare e dei fondali marini (non considerando la convenzione sulle risorse minerarie in Antartide, mai entrata in vigore), è previsto il trasferimento delle conoscenze tecnologiche e la equa ripartizione dei proventi e benefici materiali.

La seconda, afferma il contrario, in applicazione del principio Lotus nel diritto internazionale, secondo cui tutto ciò che non è proibito è consentito e che, quindi, l’assenza di un espresso divieto nell’Outer Treaty, consentirebbe l’esplorazione, l’utilizzazione e l’uso dello spazio, compresa l’estrazione e lo sfruttamento delle risorse che ne derivano.

Tale interpretazione sarebbe, quindi, supportata dagli articoli 1.1, 1.2 e 2 del Trattato dello Spazio, norme che anche in via indiretta fanno riferimento all’“uso” dello spazio esterno (espressione nella quale rientrerebbe, secondo tale impostazione, anche l’estrazione di risorse).

Allo stato attuale, la maggior parte degli studiosi e, soprattutto, i protagonisti delle attività spaziali (Stati, agenzie governative ed enti privati) sono concordi nell’affermare che l’uso delle risorse dello spazio sia consentito.

Tuttavia, la stessa maggioranza ritiene che l’estrazione, l’uso e lo sfruttamento delle risorse, minerarie e non, debba essere regolato con uno strumento giuridico internazionale.

Gli Artemis Accords

In tale contesto, si inserisce l’Artemis Program, organizzato dalla NASA con l’obiettivo di effettuare un ulteriore sbarco lunare dell’uomo entro il 2025, dopo quello celebre dell’Apollo 17 nel Dicembre 1972. 

Tale programma utilizzerà tecnologie innovative in collaborazione con partners commerciali ed internazionali, al fine di stabilire una presenza a lungo termine nella Luna, anche con l’obiettivo di sviluppare l’estrazione e l’uso delle risorse della Luna e degli asteroidi prossimi alla Terra, come è chiaramente enunciato nello stesso sito della NASA, ma con la finalità più a lungo termine, con l’esperienza e le conoscenze tecnologiche acquisite, di inviare i primi astronauti su Marte ed oltre.

A supporto di tale Programma, la NASA emanò gli Artemis Accords che il 15.10.2020 vennero sottoscritti dagli otto Stati fondatori, Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Italia, Giappone, Emirati Arabi e Lussemburgo.

Ad oggi, gli Accordi Artemis sono stati sottoscritti da 32 Paesi e sono destinati, come riportato nel Preambolo, ad essere utilizzati quale enunciazione  di principi, linee guida, migliori pratiche su governance della esplorazione civile ed uso dello spazio esterno, al fine di aumentare la sicurezza delle operazioni, ridurre i rischi e promuovere l’uso sostenibile a beneficio dello spazio per tutta l’umanità.

E’ altresì previsto che verranno adottati strumenti bilaterali per implementare specifiche attività di cooperazione relative all’uso ed alla esplorazione dello spazio.

Occorre, tuttavia, evidenziare che, nonostante gli Artemis Accords siano diretti, secondo le intenzioni degli Stati contraenti, ad “implementare le norme del Trattato sullo Spazio e gli altri rilevanti accordi internazionali”, in molti aspetti contengono disposizioni apparentemente contraddittorie con tali strumenti.

In primo luogo, con riferimento ai diritti di proprietà, l’Outer Treaty ha stabilito che le risorse dello spazio siano patrimonio dell’umanità e che “l’esplorazione e l’uso dello spazio esterno, inclusa la Luna e gli altri corpi celesti, saranno intrapresi a beneficio e nell’interesse di tutti i Paesi, senza considerare il loro grado di sviluppo scientifico e saranno la provincia di tutta l’umanità” (art. 1); inoltre, come accennato, l’articolo 2 statuisce che nello spazio non sono possibili appropriazioni nazionali mediante pretese di sovranità, occupazioni o altri modi.

Di converso, gli Artemis Accords hanno anche l’obiettivo di facilitare l’estrazione e l’uso delle risorse nello spazio, anche a fini commerciali, finalità che, peraltro, non sorprende, considerato che essa corrisponde alla posizione assunta dagli Stati Uniti su tale materia, tanto da essere riprodotta anche nella propria legislazione interna.

A tale proposito, lo United States Commercial Space Launch Competitiveness Act del 2015 dispone che qualsiasi cittadino statunitense impegnato nel recupero di risorse da un asteroide o da una “space resource”, potrà disporne a suo  piacimento e, quindi, possedere, trasportare, utilizzare o addirittura vendere le risorse ottenute.

Invero, gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto che il loro approccio in ordine alla titolarità e all’uso delle risorse derivanti dallo spazio, non costituisca un atto di “appropriazione nazionale”, vietato dall’art. 2 del Trattato sullo Spazio.

La posizione statunitense è stata espressa in termini ancora più espliciti nel corso del 2020 dalla amministrazione Trump, con l’ordine esecutivo “Encouraging International Support for the recovery and use of space resources”, ove è stato affermato che lo spazio è fisicamente e giuridicamente un dominio unico dell’attività umana e che gli Stati Uniti non lo considerano patrimonio comune.

A tale enunciazione, si è argomentato in senso contrario che l’adozione di una normativa che espressamente dispone della proprietà di risorse dello spazio, sotto l’autorità dello Stato, corrisponda ad un evidente esercizio di sovranità su tali beni.

Naturalmente, tale punto di vista è stato criticato dalle altre potenze spaziali, in primis Cina e Russia, che non hanno sottoscritto tali Accordi e siglato a loro volta nel Marzo 2021, mediante le rispettive agenzie spaziali, un documento denominato “Memorandum of Understanding” relativo alla realizzazione congiunta di una autonoma base di ricerca lunare, destinata alla esplorazione, sperimentazione ed all’uso delle risorse, con l’obiettivo di coinvolgere altri partners, mediante specifiche norme di cooperazione.

E’ da notare che gli Artemis Accords omettono qualsiasi riferimento al Moon Agreement del 1979, ove veniva espresso il principio di bene comune in relazione alle risorse dello spazio, in particolare del suo articolo 11, che ribadiva in termini espliciti il divieto di appropriazione e pretese di sovranità in qualsiasi forma da parte di qualsiasi soggetto (di natura statale, non governativa o privata).

Tuttavia, il Trattato sulla Luna ha riscosso poche adesioni (essendo stato firmato solo da 18 Stati,  ratificato solo da 13 e comunque da nessuna potenza spaziale).

Nell’ambito di tali Accordi, gli Stati hanno anche convenuto sui seguenti principi: le attività spaziali devono essere effettuate in base ai principi di uso  pacifico dello spazio; le politiche nazionali in materia dello spazio devono essere trasparenti; gli Stati devono sviluppare infrastrutture e standards interoperabili e di natura comune, per le loro attività scientifiche e commerciali, come ad esempio nell’ambito dello stoccaggio di carburante, sistemi di consegna, strutture per l’atterraggio, sistemi di comunicazione e di energia, e così via; devono essere intrapresi tutti i più ragionevoli sforzi per rendere la necessaria assistenza al personale che operi nello spazio esterno che si trovi in una situazione di difficoltà; gli Stati firmatari devono determinare quale Paese debba registrare qualsiasi rilevante oggetto spaziale che debba essere usato per le attività nello spazio, come definito nel documento; i Paesi  contraenti conservano il diritto di comunicare e rilasciare informazioni al pubblico in relazione alle loro attività e si obbligano a condividere i dati scientifici; gli Stati contraenti intendono preservare il loro patrimonio spaziale sui corpi celesti e confermano il loro impegno al rispetto sul Trattato dello Spazio, incluse le disposizioni relative al “due regard” ed al divieto di interferenze  dannose, impegnandosi  altresì  a predisporre  un  piano per  la  mitigazione dei  detriti orbitali.

Gli Artemis Accords non si limitano a disporre sui diritti di proprietà, ma affrontano anche la questione, su un piano sistemico, della governance nello spazio: tuttavia, l’approccio adottato, fondato prevalentemente su accordi bilaterali tra Stati o Agenzie governative ed enti privati in relazione a specifici diritti ed obbligazioni, costituisce non solo potenziale motivo per possibili incoerenti sovrapposizioni di legislazioni (nazionali e non), ma anche un incentivo ad iniziative di natura commerciale che potrebbero apparire in contraddizione con le norme ed i principi in materia di diritto internazionale dello spazio.

E’ pur vero che l’art. 10.4 di tali Accordi prevede che i soggetti firmatari utilizzeranno le esperienze maturate per contribuire agli sforzi multilaterali per sviluppare pratiche e regole applicabili alla estrazione ed all’utilizzazione delle risorse dello spazio, ma non è ben chiaro come tale petizione di principio possa tradursi in concreto.

La Governance nello spazio

Nel corso degli anni sono state formulate diverse proposte per la realizzazione di un quadro normativo in materia di risorse.

La questione è al centro dell’attenzione della comunità internazionale, tanto che il Legal Subcommittee dell’UNCOPUOS (United Nations Committee on the Peaceful Uses of Outer Space) ha creato un Gruppo di lavoro sui “Legal Aspect of Space Resource Activity” con  un mandato di cinque anni, per raccogliere e valutare dati ed informazioni anche in relazione alla eventuale necessità di un ulteriore strumento di governance internazionale.

Sullo stesso tema è stato impegnato l’Hague International Space Resources Governance Working Group, istituito  nel Gennaio 2016 da un gruppo di 32 membri e 94 osservatori di stakeholders, che includono Agenzie Governative, consorzi, industrie, università e centri di ricerca, i cui lavori si sono conclusi nel Gennaio 2020, con un Final Report.

In tale documento, vengono espressi, pur in termini generici, principi in tema di responsabilità internazionale per tali attività, di accesso ed uso delle risorse spaziali, di applicazione di un principio di cautela per evitare impatti ambientali e di debita considerazione per gli interessi di tutti i paesi e dell’umanità e di conseguente  “sharing” dei benefici, che potrebbe includere tecnologia, informazioni e fase della creazione di un fondo internazionale, ma non  una ripartizione globale delle risorse.

Le proposte sono diverse, ma quella che sembra riscuotere maggiore consenso, consiste nell’istituzione di un nuovo organismo internazionale (come previsto dall’articolo 11 del Trattato sulla Luna, pur senza indicazioni sulla sua forma e funzionamento, rimasto, come noto, lettera morta), basato in termini generali sulla natura di bene comune o di res nullius della Luna e dei corpi celesti.

I suoi sostenitori enfatizzano la necessità che sia una organizzazione intergovernativa l’ente più adatto a gestire e garantire gli aspetti in materia di sicurezza e corretto sfruttamento delle risorse derivanti dai corpi celesti, per mantenere aperti i canali di comunicazione tra pubblico e privato e contemperare le contrastanti esigenze in ordine ad una equa distribuzione dei profitti ed altri vantaggi che ne dovessero conseguire.

Il modello al quale ispirarsi, dovrebbe essere costituito dalla International Seabed Autority, istituita dalla Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, per la gestione e regolamentazione dei fondali marini, definiti quale patrimonio comune dell’umanità, in termini analoghi a quanto statuito dall’art. 1 dell’Outer Treaty sullo spazio.

In effetti l’ISA, istituita nel 1994, ha emanato regolamenti in materia di protezione e sfruttamento, che pur non essendo ancora stati tradotti in pratica (nessuna attività estrattiva è ancora iniziata), possono costituire un utile prototipo da adottare al diverso contesto spaziale.

Gli antagonisti di tale proposta evidenziano le difficoltà ed i costi per l’istituzione di tale organo e per determinare le regole di funzionamento e gli effettivi poteri, peraltro dimostrati dai quattordici anni di negoziati che furono a suo tempo necessari per la creazione dell’ISA.

Inoltre, una questione cruciale, alla base di questa come di ogni altra proposta in tema di proprietà ed uso delle risorse spaziali, è quella costituita dal prerequisito del regime giuridico e di protezione dell’occupazione del suolo, necessaria per le attività estrattive. A tale proposito, già il tema delle c.d. safety zones introdotto dagli Artemis Accords, aveva suscitato notevoli tensioni.

Altre proposte si ispirano a modelli di c.d. Credit Trading Systems come quello alla base del Protocollo di Kyoto alla Convention on Climate Charge del 10.12.1997, quale sistema di riduzione delle emissioni globali di sostanze nocive mediante quote allocate a ciascun Paese (rispetto ad un ammontare aggregato) che possono finanche diventare oggetto di scambio direttamente tra gli Stati senza necessità di approvazione da parte di un ente sovranazionale.

Tale sistema, potrebbe, quindi, essere applicato, con gli opportuni adattamenti, alla titolarità ed all’estrazione di risorse limitate, mediante determinazione di un livello globale di uso delle risorse e la successiva ripartizione di crediti tra gli Stati.

Gli inconvenienti di tale modello sono diversi, a partire dalla difficoltà nello stabilire i criteri di ripartizione ed il ruolo dei soggetti privati in un modello istituito per regolare i rapporti tra Stati.

Una ulteriore proposta (che, peraltro, è alla base delle legislazioni nazionali in materia di risorse) è quella di consentire la titolarità di diritti di proprietà sulle risorse spaziali, ipotesi che sarebbe indubbiamente più rapida ed efficiente, ma che, tuttavia, presta il fianco alle molteplici obiezioni, già evidenziate, di natura giuridica conseguenti alle obbligazioni ed ai principi fissati dal Trattato sullo Spazio, sulla natura del cosmo quale bene non soggetto a rivendicazioni di sovranità ed appropriazioni di qualsiasi natura, senza considerare che tale modello non tiene conto delle esigenze dei Paesi meno avanzati.

Altri studiosi, prendendo atto del tempo che richiederebbe l’implementazione di un modello da adottare in materia, hanno proposto di utilizzare una soluzione ispirata alla International Space Station ove vengono applicate le leggi nazionali  e la giurisdizione di ciascun Stato sulle parti della stazione che esso ha registrato e realizzato, sulla base di accordi intergovernativi che disciplinino l’uso ed i rapporti tra i Paesi; tale modello, secondo i fautori di tale proposta, potrebbe essere applicato con riferimento al c.d. lunar mining.

Anche questa ipotesi, non è esente da inconvenienti e lacune, in primo luogo poiché essa sarebbe ristretta ad un numero limitato di Paesi e trascura le disposizioni dei trattati in materia di “common heritage”.

Le legislazioni nazionali

Come evidenziato, appare opportuna l’introduzione di uno strumento giuridico internazionale che stabilisca il sistema di governance nell’ambito dello sfruttamento delle risorse minerarie e, a tale fine, è acceso il dibattito nella Comunità internazionale sulle forme e sulla sostanza di tale eventuale accordo.

Tuttavia, tale vuoto normativo, non ha precluso, anzi, ha probabilmente incoraggiato, l’attività legislativa degli Stati a livello domestico.

Il primo atto di regolamentazione a livello nazionale in ordine alle risorse minerarie nello spazio, è avvenuto negli Stati Uniti nel 2015, con la citata legge denominata “Us Commercial Space Launch Competitiveness Act, che introduce diritti ed obbligazioni a favore ed a carico dei cittadini statunitensi nell’ambito delle risorse minerarie, stabilendo un regime normativo di estremo favore, con il fine di incoraggiare l’esplorazione e l’uso  commerciale delle risorse dello spazio, legittimandone, quindi, la piena disponibilità.

Il secondo intervento legislativo, a livello domestico, è avvenuto con una legge del Lussemburgo denominata “Law on the exploration and use of space resources” del 20.7.2017 e la General Law on Space Activities del 10.12.2020 che, in termini analoghi alla normativa americana, autorizza il possesso, l’esplorazione e l’uso di tali risorse in base all’autorizzazione emessa da tale Paese, spingendosi anche a disciplinare in modo analitico il processo autorizzativo di tali attività, riproducendo il modello regolamentare per le attività nel settore finanziario di quel Paese.

Gli Emirati Arabi Uniti sono il terzo Stato che ha disciplinato a livello nazionale le risorse dello spazio, con la Federal Law of the United Arab Emirates on the Regulation Space Sector, emanata nel 2019: in base a tale legge, è consentito l’acquisto, la vendita, il commercio, il trasporto, lo stoccaggio e ogni altra attività possibile con riferimento alle risorse, mediante un permesso emesso dalle Autorità di tale Paese.

Tali interventi legislativi si discostano, rispetto agli Artemis Accords, avendo questi ultimi natura intergovernativa rispetto alle legislazioni sopra indicate, che esplicano i loro effetti rispetto ad ogni cittadino del Paese che ha emanato la legge.

Infine, il quarto Stato che ha emanato leggi nazionali in materia spaziale è il Giappone, che dopo aver istituito nel 2008 la Basic Space Law, nel 2016 ha emesso l’Act of Launching of Spacecraft, etc. and Control of Spacecraft ed il Remote Sensing Act.

Successivamente, il Giappone ha aderito agli Artemis Accords ed emanato nel 2021 lo Space Resources Act, che dispone, tra l’altro, di un sistema di licenze per le attività spaziali e permessi di lancio e di controllo dei satelliti.

Sebbene non vi siano altri Stati che hanno legiferato direttamente sulla materia dello space mining, in Russia vi è una legge (decreto n. 5663-1) che istituisce un sistema amministrativo che rilascia licenze per attività spaziali che sembrerebbe contemplare anche l’uso delle risorse spaziali; tuttavia, la posizione non esplicita in  materia ed i termini legali non esaustivi di tale legislazione, non sono considerati adeguati per eventuali iniziative nel settore.

Naturalmente, sono molti altri gli Stati che hanno emanato legislazioni interne in materia, pur non specificamente in materia di risorse, ad esempio in materia di attività di lancio e relative licenze e di  sostenibilità ambientale.

A tale proposito, possono essere citati il  1986 UK Act on Outer Space Activities, il 1998 Australian Space Activities Act, il 2005 Belgian Law on the Activities of Launching, Flight  Operations and Guidance of Space Objects, il 2006 Space Activities Act of the Netherlands, il French Law on Space Activities, il 2008 Austrian Act on Authorization of Space Activities and the Establishment of a Nation Space Registry del 2011, il Danish Outer Space Act del 2016, ed il 2018 Finnish Act on Space Activities.

Come accennato, l’adozione di strumenti normativi  nazionali che disciplinano ogni aspetto delle varie attività che possono essere svolte nello spazio (dal lancio dei satelliti, all’esplorazione, sino allo sfruttamento delle risorse minerarie, incluso il sistema delle relative licenze ed autorizzazioni) se, da un lato, sembra essere  incoerente con il quadro normativo generale che regola il cosmo, d’altro lato, appare comprensibile  alla luce di quanto previsto dagli articoli 2 e 4 della Convenzione sulla Responsabilità del 1972.

Tali norme, difatti, pongono a carico degli Stati una responsabilità assoluta – per di più in un ambiente notoriamente pericoloso come lo spazio – sulle attività delle persone fisiche e giuridiche, di qualsiasi natura, che ne fanno parte, peraltro, costituendo una eccezione ai principi di diritto generale che presuppongono il dolo e la colpa per l’attribuzione della responsabilità ad un soggetto di diritto internazionale.

Il modello autorizzativo in tema di licenze, presuppone nella totalità dei casi una autorizzazione governativa, alla quale si aggiunge – da parte di alcuni Stati più avveduti – in caso di trasferimento di licenze tra soggetti giuridici stranieri, la previsione di un accordo tra i due Stati ai quali appartengono i rispettivi enti giuridici che escluda la possibilità che venga trasferita allo Stato del cessionario anche la responsabilità  derivante dalle obbligazioni previste, a titolo oggettivo, dai trattati in materia di spazio, a carico degli Stati di lancio o che hanno originariamente rilasciato la licenza.

In generale, tuttavia, appare evidente, ragionando con una prospettiva non a breve termine, che il sistema autorizzativo rispetto ad attività commerciali nello spazio, non possa essere affidato solo a strumenti normativi interni, considerate le implicazioni di natura internazionale, sia da un punto di vista oggettivo (lo spazio ed i corpi celesti non sono proprietà di nessuno Stato, anche se non si volesse considerarli patrimonio come dell’umanità), sia soggettivo, per la molteplicità di operatori appartenenti a diversi Stati di provenienza.

E’ interessante, infine, porre in evidenza l’interazione che si verifica tra il diritto internazionale e le legislazioni nazionali, partendo dall’ovvia considerazione che queste ultime non possono essere  imposte agli altri Stati e non costituiscono una fonte di diritto internazionale. Tuttavia, possono avere un ruolo significativo nello stabilire l’eventuale presenza di una norma di diritto consuetudinario, ricorrendone i presupposti (prassi generale degli Stati ed opinio juris), qualora vi siano un notevole numero di legislazioni nazionali coerenti nella stessa direzione.

Allo stato attuale, le leggi nazionali costituiscono in materia di risorse un fenomeno sostanzialmente limitato e gli stessi Artemis Accords riflettono una interpretazione delle norme stabilite dal Trattato sullo Spazio, che non ha natura universale, bensì limitata agli Stati contraenti: ciò non esclude che essi possano sostenere che tale interpretazione corrisponda ad una norma di diritto internazionale consuetudinario già esistente o ne determini la formazione; come accennato, Russia e Cina non supportano tale visione e, come noto, la soglia per il consolidamento di una consuetudine a livello internazionale è estremamente alta, dovendo essere, come affermato dalla Corte Internazionale di Giustizia, sufficientemente ampia e rappresentativa.

Un’ultima annotazione concerne il tema della risoluzione del contenzioso: sebbene l’unica controversia nota in materia spaziale sia quella intercorsa e conclusa nel 1981 tra l’Unione Sovietica ed il Canada a seguito della disintegrazione del satellite Cosmos 954, sono state promosse iniziative Courts of Space nel 2021, da parte del Dubai International Financial Centre (DIFC) e la Dubai Future Fondation (DFF), finalizzate alla creazione di un sistema arbitrale per dispute legate ad attività commerciali nello spazio e le Optional Rules for Arbitration of Disputes Relating to Outer Space Activities predisposte dalla Corte Permanente di Arbitrato con sede a L’Aia, nonché la International Chamber of Commerce Rules del 2021, ipotizzate anche per controversie in tale settore.

L’interesse rispetto ad un sistema arbitrale dimostrato da tali progetti, parte da lontano, come confermato dall’Annex 1 della ESA Convention del 30.5.1975, con la quale venne costituita l’Agenzia Spaziale Europea, che prevede il deferimento ad un procedimento arbitrale nella stipula di contratti.

Conclusioni

La legittimità giuridica di uno sfruttamento delle risorse derivanti dallo spazio, appare riscuotere un consenso ormai sempre più diffuso, anche se non universale, da parte della comunità internazionale, e soprattutto, sembra in termini temporali, una prospettiva sempre più imminente.

Il  settore minerario, a livello industriale, considerati gli enormi investimenti necessari per la esplorazione e prospezione, richiede certezze in termini di governance, di legittimità di diritti e regime giuridico, di regime fiscale ed accessibilità al sistema bancario e finanziario ed esecutività: appare, quindi, necessario un quadro normativo basato su una governance multilaterale e condivisa, fondato sulla pacifica esplorazione dello spazio che dia anche certezze a lungo termine agli investimenti ed attività da parte di soggetti pubblici e privati, ove prevalga uno spirito di cooperazione rispetto a quello di mera concorrenza.

In tale contesto, è da notare l’evoluzione dello stesso concetto di patrimonio comune dell’umanità verso un approccio più realistico e compatibile con esigenze commerciali, quale forma di compromesso tra le necessità dei Paesi in via di sviluppo e quelli più avanzati.

#economiadellospazio

Space-Law Avvocato Marco-Machetta Delimitazione spazio Cosmico
Avv. Marco Machetta

Avvocato esperto in diritto internazionale, diritto marittimo e commerciale. Ha collaborato con il Prof. Umberto Leanza, partecipando alle attività di studio e di ricerca della cattedra di diritto internazionale della Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, in particolare in materia di Diritto Internazionale del Mare, di regime giuridico dei satelliti e dell’orbita geostazionaria e sul regime giuridico dell’Antartide. Ha partecipato, in più occasioni, per conto del Ministero degli Affari Esteri, in qualità di esperto giuridico, ai lavori della Commissioni O.N.U. Uncitral (United Nations Commission on International Trade Law); è stato, altresì, membro della delegazione italiana ai lavori della Hague Conference on Private International Law.