Italia e Spazio: le legislazioni nazionali in materia spaziale. Quale modello italiano

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L’Italia è in procinto di dotarsi di una legge nazionale diretta a disciplinare le attività spaziali soggette alla propria giurisdizione.

Appare, quindi, opportuno uno sguardo alle altre legislazioni per verificare come gli altri Stati hanno regolamentato tale materia.

Le leggi nazionali

A livello mondiale, sono circa trenta gli Stati che hanno adottato legislazioni interne che disciplinano l’autorizzazione e la supervisione delle attività spaziali di enti non governativi, vale a dire: Norvegia (1969), Svezia (1982) Stati Uniti (1984), Regno Unito (1986), Sudafrica (1993), Russia (1993), Ucraina (1996), Australia (1998), Corea del Sud (2005), Belgio (2005), Canada (2005), Cina (2002), Germania (2007), Francia (2008), Nigeria (2010), Austria (2012), Kazakhistan (2012), Indonesia (2013), Danimarca (2016), Giappone (2016), Nuova Zelanda (2017), Lussemburgo (2017), India (2017) Finlandia (2018), Portogallo (2019), Armenia (2020), Malesia (2022), Slovenia (2022), Cipro (2023), Liechtenstein (2023).

Altri Stati, invece, si sono limitati a ratificare accordi internazionali e/o ad istituire Agenzie spaziali nazionali (Argentina, Bangladesh, Messico, Nigeria, Cile, Canada, Brasile, Polonia, Algeria, Spagna, Iran, Azerbaijan, Costa Rica, Ecuador, Tunisia, Turchia).

Allo stato attuale, solo quattro Stati (Stati Uniti, Lussemburgo, Emirati Arabi Uniti e, per ultimo, nel 2021, il Giappone), hanno emanato leggi nazionali ove vengono disciplinati, in termini più o meno dettagliati,  gli aspetti commerciali relativi all’uso ed allo sfruttamento delle “risorse spaziali”.

La definizione di tali risorse contenuta in queste legislazioni, varia da quella di “risorse abiotiche nei o sui corpi celesti” (definizione utilizzata da USA e Lussemburgo, che implicitamente esclude questi ultimi dalla possibilità di rivendicazioni di natura sovrana) o di “risorse non viventi” (Emirati Arabi Uniti) o di “beni minerali o naturali” come l’acqua (Giappone).

Ad esempio, la legislazione lussemburghese, fortemente ispirata a quella statunitense, con la legge fondamentale del 20.7.2017 “sur l’exploration et utilisation des ressources de l’espace” è inequivoca sin dal suo articolo 1 che dispone espressamente che “Les ressources de l’espace sont susceptibles d’appropriation”.

L’approccio normativo del Lussemburgo è conforme a quello da sempre assunto dagli USA, che non sono solo la maggiore potenza spaziale, ma anche il Paese che ha adottato la normativa più esaustiva in ogni ambito e più determinata nel creare condizioni di favore per gli operatori privati; tanto da considerare le risorse spaziali un bene a disposizione di ciascun Stato che abbia le capacità finanziarie e tecnologiche di usarle, sul dichiarato presupposto che ciò non costituisca violazione delle norme dei c.d. Trattati spaziali sulla natura comune della Luna e degli altri corpi celesti.

Il sistema normativo americano, difatti, ha quale caposaldo originario il Commercial Space Act adottato il 28.10.1998, nel quale viene espresso in termini chiari l’obiettivo di promuovere opportunità commerciali nello spazio, i cui principi sono stati ulteriormente implementati nell’US Commercial Space Launch Competitiveness Act del 2005, emanato con l’espresso obiettivo di incoraggiare gli investimenti del settore privato, creando le condizioni normative idonee, mediante un sistema concessorio stabile e certo (divenendo la prima legge nazionale che ha espressamente riconosciuto la possibilità per entità private di esercitare diritti di proprietà su risorse spaziali).

Il testo normativo, a tale proposito, è estremamente ampio e comprende la facoltà di disporre in qualsiasi modo delle risorse estratte, incluso il diritto di possedere, utilizzare e vendere tali beni: la parte del provvedimento dedicata alle risorse (Space Resource Exploration and Utilization Act), pur attribuendo diritti di proprietà sulle risorse dello Spazio (prevedendo specificamente l’estrazione mineraria da asteroidi), non consente tuttavia alcuna pretesa sui beni in situ.

Nell’attuale diritto internazionale non è presente alcun accordo che disciplini esplicitamente la questione dei beni estratti o rinvenuti nello spazio extra atmosferico; l’unico che ha affrontato direttamente tale materia, in senso opposto a quello di un loro libero sfruttamento da parte di chi ne abbia le capacità (così, come, del resto, sancito – ma in termini più generali – dall’art. 2 del Trattato sullo Spazio del 27.1.1967), è stato il c.d. Moon Agreement del 5.12.1979 che, tuttavia, ha raggiunto solo ventidue firme, tra le quali, non vi sono, naturalmente, quelle dei quattro Stati citati.

L’adozione di una legislazione interna da parte degli Stati impegnati in attività spaziali, o in procinto di farlo, pur essendo finalizzata in primo luogo ad incrementare le attività e lo sviluppo economico nazionale – è necessaria poiché il Trattato sullo Spazio del 1967 impone agli Stati una responsabilità diretta per le attività svolte da operatori della propria nazionalità e l’obbligo che tali attività siano autorizzate e soggette a supervisione (art. 6); pertanto, le leggi interne sono destinate a disciplinare i processi autorizzativi e di controllo delle attività spaziali ove è sempre maggiore la presenza di operatori privati, in aree nelle quali nessun Stato può esercitare diritti sovrani e nell’ambito di un quadro internazionale che, seppur lacunoso, è integrato da una molteplicità di norme di soft law, in particolare in materia ambientale.

Nella Risoluzione n. 68/74, adottata dall’Assemblea Generale ONU dell’11.12.2013, veniva evidenziata la necessità che ogni Stato si dotasse di una normativa interna e, tenuto conto dei possibili diversi approcci che potevano essere seguiti nello stabilire un quadro regolatorio di tale settore, emanava una serie di Raccomandazioni sulle legislazioni nazionali rilevanti per l’esplorazione pacifica e l’uso dello spazio extra-atmosferico.

In particolare, si auspicava che venissero regolamentati in modo idoneo: i campi di applicazione (tutte le operazioni di lancio e di rientro e di attività in orbita, di esplorazione e ricerca e di applicazione e sviluppo della tecnologia); la specificazione dell’ambito della propria giurisdizione; le condizioni e le procedure per il rilascio, la modifica, la sospensione e la revoca delle autorizzazioni (nel rispetto delle obbligazioni derivanti dai Trattati internazionali in materia di spazio stipulati sotto l’egida dell’ONU); il mantenimento di un Registro nazionale degli oggetti spaziali ed i criteri per l’eventuale trasferimento della proprietà o del controllo dell’oggetto spaziale ed il regime della responsabilità e risarcitorio con la previsione di appropriati requisiti assicurativi.

Il vuoto normativo, già evidenziato in altre occasioni, si spiega anche in ragione del fatto che, a distanza di oltre cinquant’anni dalla conclusione del c.d. Outer Space Treaty, pur sottoscritto dalla maggior parte dei Paesi, non vi è unanimità di vedute su alcune disposizioni formulate in termini, all’epoca, necessariamente generali: ad esempio, se il divieto di appropriazione sia applicabile anche ai privati (che non sono soggetti di diritto internazionale e non hanno diritti ed obbligazioni derivanti direttamente da tali Trattati) e se l’esclusione di diritti di proprietà riguardi solo i corpi celesti e non anche le loro risorse.

Ed ancora, ulteriori questioni interpretative riguardano la portata e l’evoluzione del diritto consuetudinario in questa materia ed in particolare sulla interpretazione restrittiva o meno dei concetti di “appropriazione”, di “uso”, di “risorse” e di “beneficio ed interesse per tutti i Paesi”, contenuti nel Trattato sullo Spazio.

La differenza di posizioni e l’assenza di un meccanismo coercitivo costituiscono limiti evidenti alla efficacia di tale Trattato sul piano attuativo e le legislazioni nazionali, per certi versi, ne costituiscono un evidente effetto.

Occorre, inoltre, considerare che, dal punto di vista degli Stati, appare preferibile regolamentare le attività dei propri cittadini a livello di legislazione interna piuttosto che con strumenti di diritto internazionale; difatti, non è un caso che il Committee on Peaceful Uses of Outer Space dell’ONU presti grande attenzione ai temi della analisi ed armonizzazione degli sviluppi normativi di ciascun Stato.

In tale contesto, occorre segnalare, anche per quanto specificamente concerne la posizione italiana su tali materie, che il 13.10.2020 sono stati sottoscritti gli U.S. Artemis Accords, ai quali ha aderito anche l’Italia (oltre l’Australia, Canada, Giappone, Lussemburgo, Emirati Arabi Uniti e Regno Unito e, in seguito, altri Paesi, sino all’attuale numero di trenta).

I principi enunciati dalle tredici disposizioni di cui sono composti tali Accordi, affermano in termini espliciti la possibilità di utilizzare, anche a fini commerciali, le risorse spaziali che possono, quindi, anche essere  oggetto di diritti di proprietà, esprimendo in tal modo a chiare lettere, gli obiettivi e le opinioni degli Stati aderenti rispetto a tali questioni.

L’esigenza di regolamentare anche nel diritto interno degli aspetti in linea di principio relativi ad aree ove non può esservi – in base al quadro normativo esistente a livello internazionale – la sovranità di nessuno Stato, può apparire contraddittoria; tuttavia, nell’ottica di protezione degli interessi nazionali e dei propri cittadini ed imprese, tale approccio appare coerente, tanto più se si consideri, da una parte, che alcuni trattati internazionali (e, segnatamente, quelli in materia di responsabilità e registrazione, oltre che lo stesso Outer Treaty) presuppongono una normativa interna; dall’altra, che il diritto domestico in materia spaziale è precipuamente finalizzato a stabilire principi e regole che agevolino gli stakeholders nazionali nelle proprie attività e, nel contempo, attraggano nuovi operatori al di fuori del proprio territorio.

Ulteriore considerazione preliminare deve essere effettuata con riferimento al valore normativo di tali legislazioni interne al di fuori della propria giurisdizione, dal momento che, come noto, nella gerarchia delle fonti del diritto internazionale, non è incluso il diritto domestico.

La legislazione interna, intesa quale prassi applicativa del Trattato sullo Spazio può, tuttavia, a determinate condizioni, avere rilevanza per stabilire o dimostrare l’esistenza di un principio di diritto internazionale generale, come affermato dalla Corte Internazionale di Giustizia con riferimento all’art. 38, 1 (c) del suo Statuto; naturalmente, la legge nazionale non può essere invocata dallo Stato per giustificare il proprio inadempimento alle obbligazioni assunte con un accordo internazionale, come statuito dall’art. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 23.5.1969.

Peraltro, il fenomeno delle legislazioni nazionali non può considerarsi così diffuso e radicato rispetto alla comunità degli Stati da determinare la creazione di un diritto internazionale consuetudinario su alcuni principi, non sussistendo – ancora – entrambi i necessari presupposti della c.d. diuturnitas e della c.d. opinio ac necessitatis.

Inoltre, dopo aver constatato che non si può, allo stato, considerarsi formato un principio di diritto internazionale consuetudinario in materia di uso e risorse spaziali, occorre altresì evidenziare che i principi espressi dalle legislazioni nazionali avrebbero, in ogni caso, un valore sussidiario, ai sensi dell’art. 31 della citata Convenzione di Vienna del 1969), solo in caso di lacune dell’accordo cui si riferiscono.

Tuttavia, la circostanza per cui  il Trattato sullo Spazio abbia comunque enunciato principi di natura generale, ancorché effettivamente in termini vaghi ed ambigui, quanto meno nella loro interpretazione contemporanea, costituisce un indubbio elemento ostativo ad una loro possibile applicabilità in via sussidiaria, tanto più che non si può affermare che l’applicazione del Trattato abbia determinato una interpretazione uniforme tale da soddisfare il requisito dell’“accordo degli Stati contraenti”, come richiesto dalla suddetta norma.

Nel corso degli ultimi anni, si è verificato un crescente intervento degli Stati a livello normativo interno, con emanazione delle rispettive leggi spaziali nazionali o con emendamenti ed integrazioni rispetto ai regimi normativi esistenti, ma anche con una serie di proposte, programmi  e consultazioni finalizzati alla futura emanazione di leggi regolatrici della materia o di alcuni settori, come  in tema di sostenibilità ambientale.

Nel primo caso, rientra, ad esempio, l’Italia che nell’anno in corso ha programmato l’entrata in vigore di una legge in materia di spazio, quale parte della propria Legge di Bilancio, nonché, naturalmente, su piani diversi, l’Unione Europea, che dopo aver concluso la fase consultiva nel Novembre 2023, ha preannunciato ulteriori imminenti sviluppi rispetto alla creazione di un diritto spaziale europeo per il 2024.

Nel secondo caso, possono essere citati la Germania, ove è in corso un acceso dibattito interno sulla assenza di una legge nazionale regolatrice dell’intera materia e gli Emirati Arabi Uniti che hanno annunciato che nel primo quadrimestre del 2024 verrà emessa una versione aggiornata della propria legge, in particolare in tema di autorizzazioni ed ispezioni dei licenziatari, diretta a supportare il settore industriale e facilitare le collaborazioni con altri partners.

Nella stessa direzione si è mossa anche l’Australia, con interventi normativi diretti a ridurre le barriere alla partecipazione alle attività spaziali, in particolare in ordine alle prescrizioni richieste per le particolari valutazioni nella fase della domanda (eliminando la necessità che gli esperti incaricati di valutare la capacità c.d. in house non siano collegati al richiedente).

Anche gli Stati Uniti sono intervenuti a livello legislativo, con interventi mirati (Orbis Act) destinati a ridurre i detriti spaziali ed a promuovere la sicurezza delle attività spaziali. Altri Paesi, quali ad esempio il Regno Unito, sono attualmente impegnati in una fase consultiva rispetto ad interventi normativi in ordine alla imposizione di limiti di responsabilità variabile per operazioni orbitali e sostenibilità della missione, nonché a  modelli assicurativi alternativi per la copertura della responsabilità verso terzi, come polizze reciproche o collettive o meccanismi di rimborso delle imposte relative alle autorizzazioni per chi pone in essere buone pratiche in materia di sostenibilità ambientale.

Gli Stati nazionali che hanno emanato legislazioni domestiche hanno normalmente disciplinato il settore privato e le procedure di autorizzazione allo svolgimento di attività spaziali, richiamando quanto previsto dagli accordi internazionali in materia e, segnatamente, la Convenzione sulla responsabilità internazionale per danni causati da oggetti spaziali del 29.3.1972 e la Convenzione sulla registrazione di oggetti spaziali lanciati nello spazio del 14.1.1975.

In generale, il sistema autorizzativo deve individuare l’autorità governativa appropriata, competente a svolgere i compiti di autorizzazione e supervisione, l’ambito delle attività soggette a concessione e, quindi, alla giurisdizione nazionale, eventualmente prevedendo differenti fasi delle attività spaziali, vale a dire di lancio, operazioni in orbita, rientro ed operazioni fine vita.

Nel corso del processo autorizzativo, l’attività programmata dovrebbe essere accuratamente valutata in relazione alle necessarie condizioni di natura tecnica, finanziaria, di sicurezza e di  salvaguardia ambientale, nonché di rispetto delle obbligazioni internazionali e di  politica estera ed agli aspetti connessi agli interessi nazionali.

Qualora siano coinvolti più Stati, al fine di evitare duplicazioni nelle procedure di autorizzazione e supervisione, gli operatori (o gli Stati) interessati dovrebbero coordinarsi per determinare quale quadro regolatorio sarà applicabile, ad esempio (come nel caso di Regno Unito ed Australia), mediante meccanismi di reciproco riconoscimento delle autorizzazioni ottenute nell’altro Stato, qualora siano analoghe a quelle adottate nel Paese ospite.

Effettuate queste opportune considerazioni preliminari, verrà analizzato in termini generali il quadro normativo dei Paesi che hanno legiferato in materia spaziale, tema, come accennato, quanto mai di attualità, alla vigilia dell’emanazione di una legge nazionale nel  settore dello spazio e di un  progetto normativo comunitario annunciato per  l’anno in corso.

  1. Tipo di autorizzazione

Di norma, le autorizzazioni alle attività spaziali vengono concesse con riferimento ad ogni singola operazione (Regno Unito, Giappone, Belgio, Stati Uniti, Sudafrica, Svezia, Olanda, Norvegia).

Si discostano da questo approccio, la Francia, che prevede il rilascio di una licenza generale che certifica la capacità di operare per un periodo di 10 anni, l’Ucraina e l’Australia che può arrivare fino a 20 anni; nel caso in cui la stessa non contempli l’autorizzazione a specifiche operazioni, può essere concesso un ulteriore permesso ad hoc.

La scelta del legislatore francese di concedere ai propri operatori una autorizzazione per un determinato periodo di tempo, è certamente determinata dall’intento di incentivare l’iniziativa privata.

Gli Stati Uniti prevedono anche la possibilità di un “permesso sperimentale” con condizioni meno stringenti per determinati tipi di attività, al fine di consentire agli operatori di lanci suborbitali riutilizzabili, di condurre esperimenti senza dover ottenere una normale licenza.

  • Livello governativo ed ente che emette l’autorizzazione. Ambito materiale di applicazione

Le politiche spaziali e, di conseguenza, gli enti preposti al rilascio delle autorizzazioni, considerata la loro natura strategica, sono di regola appannaggio dei Ministeri interessati (in genere, quelli che si occupano di affari economici, imprese ed industria). In alcuni casi, sono coinvolti più Ministeri, mentre la verifica dei requisiti di natura tecnica, finanziaria ed ambientale, è di solito demandata alle Agenzie spaziali nazionali.

Gli articoli 6 e 7 del Trattato sullo Spazio prevedono, discostandosi dai principi generali in materia di responsabilità, che gli Stati siano responsabili anche per le “national activities”, incluse quelle dei privati.

Tali attività devono essere autorizzate e supervisionate da parte dello “Stato appropriato”: il Trattato non definisce, né tale concetto, né quello di attività nazionali, sulla cui ampiezza vi è sempre stato un acceso dibattito nella comunità internazionale che è, tuttavia, sostanzialmente concorde nel lasciare alle legislazioni interne il compito di definire tali ambiti di applicazione.

In termini generali, le leggi interne si applicano a tutte le operazioni di lancio e di rientro, di manovre in orbita, di oggetti spaziali (come razzi, navette e satelliti) nello spazio extra atmosferico e di remote sensing  (anche se alcuni Stati, come la Danimarca, includono nella propria giurisdizione anche attività non propriamente “spaziali” svolte al di sotto del limite di 100 km. dal livello del mare).

Del resto, molte legislazioni (ad esempio Cina e Giappone) non definiscono il concetto di “attività spaziali” in modo uniforme alla maggior parte delle leggi di altri Paesi (Francia, Austria, Kazakistan, Russia, Olanda, Sud Africa, Svezia ed Ucraina), utilizzando formule abbastanza ampie da includere anche ogni possibile attività nello spazio (Russia).

In taluni casi isolati (Corea del Sud ed in parte anche la Norvegia) la licenza è richiesta solo per il lancio di un razzo che orbiti intorno alla Terra ed oltre, con la conseguenza che, in teoria, non sarebbe necessario per un operatore privato richiedere una licenza per la gestione di un satellite, anche se la legge coreana impone, in ogni caso, la registrazione del satellite e l’adeguamento delle garanzie assicurative.

Le leggi  di Cina, Giappone e Corea escludono dal sistema autorizzativo il lancio di veicoli spaziali suborbitali o razzi sonda e, quindi, il turismo spaziale nelle fasce sotto l’orbita terrestre, né menzionano in alcun modo la possibilità di lanci spaziali per privati, non ritenendo evidentemente ancora esistente una tecnologia sicura per tali attività o perché considerate contrarie alle proprie politiche nazionali.

  • Valutazioni in materia di sicurezza e requisiti di natura ambientale

I requisiti in materia di sicurezza e, soprattutto, in materia ambientale comportano indubbiamente ingenti oneri finanziari a carico degli operatori per assicurare il rispetto dei relativi standard internazionali.

D’altra parte, se un sistema privo di una stringente regolamentazione delle condizioni di sicurezza e di rispetto di norme ambientali, potrebbe, in teoria, apparire più attraente per gli investitori, in realtà un sistema normativo lacunoso implica anche l’assenza di un chiaro ed adeguato meccanismo di rimborsi e problemi di natura  assicurativa; difatti, in caso di incidenti, la gravità delle eventuali conseguenze non precluderebbe, in ogni caso, l’attivazione dei principi generali in materia di diligenza, colpa e responsabilità, anche in assenza di un quadro lineare e trasparente. Pertanto, l’applicazione di un sistema accurato in tema di sicurezza, può considerarsi in realtà un incentivo per le stesse imprese che potrebbero finanche beneficiare di una  propria immagine eco-friendly in tema di requisiti di sicurezza ambientale.

Anche gli assessments in materia di sicurezza sono in genere affidati alle Agenzie Spaziali nazionali e basati su una valutazione caso per caso, ove sono non di rado coinvolti anche gli enti governativi interessati dalle attività.

Alcune normative (Austria) prevedono, tra l’altro, che venga fornita la dimostrazione di aver adottato tutti i più avanzati sistemi di sicurezza, in base allo stato dell’arte e che la funzionalità ed operatività delle strutture e dei metodi operativi  sia già stata sperimentata e dimostrata, con la previsione  dei relativi piani  di emergenza.

  • Condizioni per le autorizzazioni

Il regime di responsabilità imposto dall’Outer Treaty, ulteriormente elaborato dalla Convenzione sulla responsabilità del 1972, giustifica il ruolo predominante di controllo, preventivo e successivo, su enti dalle cui attività possono derivare responsabilità a carico dello Stato.

Ciò spiega anche il motivo per cui, di norma, le autorizzazioni non siano necessarie per attività svolte direttamente dallo Stato o per suo conto.

Le condizioni per il rilascio delle autorizzazioni (di competenza dei Ministeri interessati, ma non necessariamente, come nel caso della Norvegia, del Sud Africa e dell’Ucraina), prevedono un controllo a priori, avente natura prevalentemente discrezionale, pur essendo basato su accertamenti sostanzialmente di natura tecnica, in ordine alle capacità tecnologiche e finanziarie, in materia di sicurezza e sostenibilità ambientale, in genere demandate alle Agenzie Spaziali nazionali.

La normativa britannica si caratterizza per una certa flessibilità in materia di condizioni per l’autorizzazione, che non sono prestabilite, ma determinate dall’Autorità per ogni specifica domanda, in tal modo creando anche i presupposti per un certo dialogo con l’amministrazione.

Tutte le legislazioni prevedono, inoltre, un controllo approfondito sui requisiti di natura morale dell’operatore, verifica che comprende anche l’assenza di precedenti condanne e che, in taluni casi, può riguardare anche i soci ed i soggetti che a diverso titolo sono coinvolti nella missione.

Ad esempio, la normativa lussemburghese prevede che le autorizzazioni devono essere  munite di adeguate informazioni sulla missione e sul richiedente, incluse le sue capacità finanziarie, nonché di un “robusto schema sulle procedure ed accordi relativi alla esplorazione ed usi che verranno effettuati dalla missione”, comprensivo delle modalità nelle quali la commercializzazione delle risorse verrà programmata ed implementata; l’ente concedente ha il diritto di rigettare le domande presentate, valutando la fattibilità dell’operazione e le capacità degli investitori sulla base della loro reputazione, esperienze pregresse, la ragionevole assenza di operazioni sospette di antiriciclaggio o di finanziamenti provenienti da fonti terroristiche. I requisiti necessari dovranno essere presenti durante l’intera missione, così come l’assenza di precedenti di natura penale o di altra natura che possano incidere sulla reputazione dei soggetti richiedenti.

Il controllo delle autorità preposte è, quindi, particolarmente penetrante anche nel merito, prevedendo l’obbligo di fornire qualsiasi informazione rilevante ai fini della domanda, l’acquisizione di un risk assessment della missione e l’assoggettamento ad una procedura di revisione annuale; in alcuni Paesi, come la Danimarca, è richiesta anche la proprietà del velivolo.

In Giappone, sono previste anche condizioni più dettagliate che prevedono il consenso del Primo Ministro sugli standards di sicurezza del velivolo e sulla esistenza di appropriate garanzie finanziarie e, soprattutto, sulle misure adottate per la mitigazione dei detriti, estremamente stringenti rispetto ad ogni altra legge nazionale.  

Nel sistema francese, la legge di riferimento è costituita dalla Legge sulle operazioni spaziali del 3.6.2008, che disciplina il sistema autorizzativo da parte del Ministero competente, sulla base di una valutazione tecnica da parte dell’Agenzia Nazionale Francese (CNES). L’articolo 5 prevede che le autorizzazioni possano imporre specifiche obbligazioni a tutela di persone e beni, per la protezione della salute e dell’ambiente, in particolare, al fine di limitare i rischi derivanti da detriti spaziali.

La legge è stata successivamente integrata con una  normativa di natura tecnica (decreto del 31.3.2011) con la quale sono stati specificati i requisiti tecnici ai quali deve conformarsi ciascun operatore; in particolare, una prima parte è dedicata ai sistemi di lancio ed una seconda ai sistemi orbitali, entrambe soggette a disposizioni comuni sul contenimento del fenomeno dei detriti.

Pertanto, nella maggior parte dei casi, il potere dello Stato nel rilascio delle concessioni, è estremamente incisivo, dovendo la domanda soddisfare gli accertamenti richiesti circa l’adeguatezza dei fondi per la missione e garantire l’estrema probabilità che le strutture utilizzate per la costruzione ed il lancio siano idonee ad evitare danni di natura ambientale o alla salute pubblica (Australia); in altri casi, è richiesta finanche documentazione sui dati raccolti e sui suoi destinatari e l’esibizione di documentazione (i) che dimostri l’adozione di misure appropriate per evitare la produzione di detriti durante la missione; (ii) che l’oggetto non contenga o produca sostanze dannose o possa entrare in collisione con altri soggetti e (iii) la rimozione dell’oggetto dall’orbita terrestre alla conclusione della sua attività (Austria, Giappone).

La legge austriaca prevede, inoltre, ai fini della sussistenza dei requisiti della capacità tecnica, un elenco di tutte le attività  precedentemente  svolte  nel  settore e di  tutti i contratti  in  essere  in  relazione  all’attività spaziale oggetto della domanda.

In Cina, ad esempio, l’ente governativo che esamina il piano di lancio, impone che il richiedente sia il project contractor generale e, se non operante nel territorio cinese, che sia anche proprietario dell’oggetto spaziale.

Soprattutto negli ultimi anni, i requisiti di natura ambientale sono divenuti sempre più rigidi, tenuto anche conto delle responsabilità dello Stato di appartenenza previste dagli accordi internazionali in materia di spazio, e prevedono, di norma, anche la possibilità di imporre prescrizioni in materia di sicurezza.

L’elemento discrezionale alla base di queste valutazioni, appare evidente dalla clausola di salvaguardia contenuta in tutte le normative, che può essere declinata quale tutela della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico (Belgio, Stati Uniti, Australia), della sicurezza dello Stato (Russia) o degli interessi strategici ed economici nazionali o di politica estera e di difesa nazionale (Francia), che non devono essere pregiudicati dalle attività spaziali delle quali viene richiesta l’autorizzazione.

Secondo la legge cinese, per l’ottenimento della licenza, è necessario che il richiedente rispetti anche determinate normative e mantenga il segreto sulle attività  e non metta in pericolo la sicurezza nazionale (in termini sostanzialmente analoghi, anche la Russia e l’India).

Inoltre, la domanda può essere rigettata in qualsiasi momento qualora venga valutato che essa sia in contrasto con le condizioni richieste e che non sia possibile porvi rimedio mediante ulteriori prescrizioni (Austria).

Naturalmente, tutte le autorità competenti hanno il diritto (e l’obbligo) di supervisionare le attività per l’intera durata dell’autorizzazione, raccogliendo qualsiasi informazione ritenuta necessaria per monitorare adeguatamente le attività, cui consegue anche la facoltà di revocare, sospendere o modificare la licenza, in caso di mancato rispetto della legge interna o dell’autorizzazione.

  • Termini ed imposte

Di solito, i termini per la presentazione delle domande e per il rilascio delle autorizzazioni sono sostanzialmente brevi (nell’ordine di mesi) e non appaiono avere natura perentoria, tenuto anche conto che non sono previste preclusioni in ordine alla ripresentazione di istanze non accolte.

Non di rado, la legge nazionale non prevede diritti per l’istruttoria della pratica o termini di scadenza (Norvegia, Ucraina, Sud Africa, Australia), essendo tali aspetti rimessi a decreti attuativi o a norme di natura regolamentare (Francia).

  • Trasferimento dell’autorizzazione

La cessione dell’autorizzazione è generalmente consentita (anche se in alcune normative, come quella olandese e del Lussemburgo, non lo è) ed è sempre soggetta ad una autorizzazione preventiva da parte dell’organo preposto al suo rilascio (Danimarca, Regno Unito, Belgio, Francia, Emirati Arabi Uniti, Giappone).

In caso di cessione dell’autorizzazione o della proprietà dell’oggetto spaziale, devono essere altresì considerati criteri di ripartizione del rischio tra i Paesi di lancio.

In altri casi, tale aspetto non è regolamentato a livello normativo (Austria); tale lacuna comporta la possibilità che tale eventualità venga affrontata caso per caso (Stati Uniti, Svezia, Norvegia, Sud Africa, Austria, Ucraina).

In ogni caso, il soggetto cessionario deve essere dotato degli stessi requisiti richiesti al titolare  originario (Australia).

In taluni casi (Austria), i dati e le informazioni richieste sono estremamente minuziosi e comprendono anche qualsiasi variazione dell’operatore ed i nuovi parametri, qualora venga modificata la posizione orbitale e la funzione dell’oggetto spaziale.

L’accesso a tali dati è consentito ad ogni persona che possa dimostrare di avervi un legittimo interesse (Austria).

  • Registrazione

La legge interna deve anche istituire un registro nazionale ove siano riportate tutte le informazioni ed i dati rilevanti richiesti dalla Convenzione sulla registrazione.

La registrazione degli oggetti spaziali è un fattore determinante per individuare quale Paese debba considerarsi “launching State”, con le relative conseguenze in termini di responsabilità e  danni.

Inoltre, la registrazione è un aspetto rilevante anche in relazione alla giurisdizione dello Stato e sul controllo dell’oggetto e del personale a bordo.

Le modalità procedurali previste per la registrazione degli oggetti spaziali sono, quindi, in generale regolamentate nell’ambito e nei limiti di quanto previsto dalla Convenzione sulla Registrazione del 1975 e sono a cura dello Stato di lancio ed essa non può essere effettuata presso due diversi Paesi.

Nel caso in cui l’attività sia intrapresa congiuntamente da più Stati, viene quindi richiesto un accordo tra di essi, per determinare presso quale Paese verrà effettuata la registrazione ai fini dell’adempimento delle prescrizioni previste da tale Trattato.

Vi sono, inoltre, dubbi interpretativi sullo stesso concetto di Stato di lancio e se possa considerarsi tale anche un Paese che sta “procurando” il lancio, ad esempio fornendo un componente essenziale per la spedizione.

Poichè il criterio discretivo è comunque costituito dalla registrazione dell’oggetto, ciò può determinare anche una scelta da parte degli Stati promotori della missione, del regime giuridico nazionale ad essi più favorevole.

     Occorre, infine, considerare che la definizione di oggetto spaziale è in genere (o dovrebbe essere) in linea con quella prevista dal diritto internazionale dello spazio e le sue continue evoluzioni, mentre raramente è affrontato il tema della proprietà intellettuale nell’ambito delle legislazioni in materia spaziale, potendo evidentemente essere regolamentato con una normativa di settore di più ampia portata.

  • Regime di responsabilità, limiti e clausole di esonero

Il regime della responsabilità costituisce uno degli aspetti più rilevanti di ogni normativa nel settore dello spazio, considerato che lo Stato della nazionalità dell’operatore ha una responsabilità di natura oggettiva rispetto alle attività poste in essere dai propri cittadini (persone fisiche o giuridiche) ed ai danni che ne conseguono.

Naturalmente, l’obiettivo principale di una legge nazionale è quello di impedire che uno Stato di lancio possa essere chiamato a rispondere dei danni derivanti da attività spaziali.

Tale responsabilità è l’effetto della disposizione contenuta all’art. 6 del Trattato sullo Spazio del 1967 e, soprattutto, della  Convenzione sulla  Responsabilità  internazionale per i  danni  causati da oggetti spaziali.

La Liability Convention prevede un duplice regime di responsabilità a carico dello Stato di lancio qualora il danno cagionato sia avvenuto sulla Terra o nello spazio aereo (art. 2, responsabilità oggettiva, ove nessuna colpa (fault) è richiesta), o nello spazio extra atmosferico ad altro oggetto spaziale (art. 3, ove è richiesta la colpa dello Stato di lancio o dei suoi cittadini).

Occorre, peraltro, precisare che in caso di incidenti è possibile anche adire la legge nazionale e la relativa giurisdizione, non sussistendo un principio di esclusività della Convenzione. Tuttavia, una azione risarcitoria intrapresa in base alla Convenzione sulla Responsabilità, offre il vantaggio di una responsabilità illimitata, sia sotto il profilo temporale che economico; nonché di carattere assoluto per i danni verificatisi sulla Terra, con possibilità di agire contro uno Stato per definizione solvibile.

Le parti danneggiate, in base all’art. 12 della Convenzione, hanno, difatti, diritto ad un risarcimento integrale, senza limiti di tempo, a conferma di un approccio a tutela delle vittime che caratterizza tali accordi.

Da qui la necessità di regolamentare tale aspetto, in particolare nella fase autorizzativa, mediante controlli preventivi, valutazioni di rischio o prescrizioni che limitino, per quanto possibile, il rischio di incidenti, di produzioni di detriti ed ogni interferenza dannosa con l’ambiente.

La questione viene, tuttavia, affrontata in modo diverso dalle singole legislazioni, che devono contemperare  tale pur imprescindibile esigenza, con l’obiettivo, comune a tutte le normative, di favorire la crescita del settore, supportare le attività spaziali, specie quelle di lancio ed ottenere investimenti, finalità che naturalmente verrebbero compromesse con l’adozione  di misure eccessivamente restrittive.

Per di più, in tali valutazioni entrano in gioco tre ulteriori elementi  di assoluto rilievo: da una parte, la natura intrinsecamente pericolosa dell’ambiente spaziale; dall’altra, l’elevatissimo costo delle operazioni.

Infine, la difficoltà di ottenere adeguate coperture assicurative rispetto a tutti i possibili rischi ed alle conseguenze pregiudizievoli per persone, cose ed in generale sull’ambiente, sia nell’ambito dello spazio extra-atmosferico che nella superficie terrestre.

Le legislazioni nazionali riflettono tali diversi orientamenti, oscillando tra regimi normativi che non prevedono limiti di responsabilità a carico degli operatori (come nel caso del Belgio, Svezia e Norvegia), ad altri che pongono un limite determinato con i decreti attuativi (Francia e Regno Unito), ovvero coincidente con l’importo assicurato (Stati Uniti, Australia, Olanda) o determinato caso per caso (Sud Africa).

Le disposizioni in materia di responsabilità possono essere accompagnate da clausole che prevedono rinunce reciproche di responsabilità (i c.d. cross – waivers of responsibility), abitualmente utilizzate in caso di attività eseguite in regime di cooperazione tra Stati per attività spaziali (ad esempio, nel caso della International Space Station o nell’ambito di operazioni effettuate tra l’Amministrazione statunitense ed operatori privati o statali).

Con tali clausole, in termini generali, le parti si impegnano l’una con l’altra, a rinunciare a qualsiasi pretesa o azione di rivalsa che possa essere avanzata da ciascuna parte coinvolta nell’operazione per qualsiasi danno a persone e cose in conseguenza delle missioni oggetto dell’accordo e sono basate sul principio per cui ogni parte è ritenuta responsabile solo per la sua quota di responsabilità.

Naturalmente, tali disposizioni, frequentemente utilizzate nella prassi, hanno l’obiettivo di ampliare la partecipazione nelle attività di esplorazione, uso ed investimento, coinvolgendo, in base alle formule adoperate, anche contractors, dipendenti e soggetti terzi non direttamente promotori dell’operazione.

Tali esoneri di responsabilità sono spesso accompagnati da clausole cd. hold harmless, con le quali le parti si impegnano a trasferire le obbligazioni derivanti da tali regimi di reciproca manleva, anche ai loro associati ed alle parti interessate, in tal modo rendendo chiara sin dall’inizio la ripartizione delle responsabilità ed i relativi rischi economici, indipendentemente dai rispettivi profili di colpa, alleggerendo gli oneri finanziari, così come quelli assicurativi, a carico degli operatori.

Le clausole cross-waiver, tipicamente utilizzate negli accordi stipulati dalla NASA e previsti anche dalla normativa francese, non sono, tuttavia, in genere previste a livello di legge nazionale, essendo viceversa più frequentemente regolamentate caso per caso nell’ambito delle singole autorizzazioni.

Ulteriore esempio di incentivo per gli operatori è costituito dalle esenzioni previste, ad esempio, dalle legislazioni statunitense ed australiana, dalla necessità di ottenere una autorizzazione, nel caso in cui l’autorità competente si ritenga soddisfatta circa la sicurezza dell’operazione.

Anche la Francia prevede tale esenzione nel caso di lanci stranieri, rispetto ai quali si ritengano soddisfatte le condizioni previste dalla legge nazionale, mentre il Regno Unito consente tale possibilità quando sia stato raggiunto un accordo in tal senso con un altro Stato, al fine di assicurare il rispetto delle proprie obbligazioni internazionali.

  • Garanzia dello Stato oltre i limiti di responsabilità

L’entità dei danni dei quali uno Stato potrebbe essere chiamato a rispondere, considerati i rischi intrinseci delle attività spaziali e le relative incertezze circa possibili incidenti e le conseguenze di natura risarcitoria, è di gran lunga superiore alle ordinarie capacità finanziarie di un operatore.

Sotto tale profilo, il supporto finanziario dello Stato appare essenziale per le imprese che operano in tale settore, soprattutto con riferimento alla previsione di un tetto al rischio massimo al quale possono incorrere.

Pertanto, una delle forme principali per supportare le attività spaziali è costituita proprio dalla assunzione da parte dello Stato della garanzia sovrana oltre il limite stabilito dalla legge, come nel caso degli USA (tramite il concetto di Maximum Probable Loss con un tetto per la garanzia dello Stato sino a 1,5 miliardi di dollari, che in Australia è pari a 3 miliardi di dollari australiani), Regno Unito (60 milioni di Euro nel 2015)  e Francia (tra i 50 ed i 70 milioni di Euro per i danni causati sulla Terra e nello spazio aereo).

Sotto tale profilo, la legislazione statunitense appare quella più flessibile prevedendo la possibilità che il limite obbligatorio di responsabilità coincida con quello della copertura assicurativa disponibile a costi ragionevoli.

La garanzia dello Stato è disciplinata in stretta correlazione con i limiti di responsabilità stabiliti per l’operatore privato: appare evidente che tanto più viene concesso un limite di responsabilità di natura economica a favore degli enti che hanno intrapreso attività spaziali, maggiore dovrà essere la garanzia da parte del Paese di riferimento. In tali valutazioni rientrano, naturalmente, implicazioni di natura strategica relative agli interessi economici e strategici, attuali e potenziali, alla base della missione; ancora più rilevanti in caso di attività spaziali aventi natura duale, ove gli obiettivi in tema di sicurezza e difesa potrebbero essere prevalenti, giustificando un intervento dello Stato più incisivo anche da un punto di vista economico, rispetto ad operazioni aventi finalità esclusivamente commerciali o di altra natura.

Diverse leggi nazionali (Ucraina, Olanda, Belgio, Svezia) non prevedono una garanzia dello Stato, mentre in alcuni Paesi può essere concordata con il Governo caso per caso (Giappone). E’ importante segnalare che nei casi, ad esempio negli Stati Uniti, ove è previsto un tetto anche alla garanzia governativa, oltre il limite posto a favore dell’operatore, il tetto e la garanzia si applicano non solo quando sia la vittima a ricorrere alla Convenzione sulla Responsabilità, ma anche nel caso in cui la parte danneggiata decida di agire davanti ad un Giudice interno.

Infine, occorre considerare che i limiti di responsabilità nella quasi totalità dei casi, vengono meno in caso di condotta dolosa o colpa grave dell’operatore (USA); nel caso della Francia, vengono distinte due fasi, quella di lancio, ove la garanzia si estende per i danni sulla Terra ed in orbita e la fase in orbita, che garantisce solo i danni sulla superficie terrestre.

Il sistema di ripartizione del rischio mediante l’introduzione di un limite di responsabilità  per danni a terzi è, in generale, considerato il modo più efficiente per promuovere le attività spaziali senza pregiudicare gli interessi dei contribuenti ed i diritti delle potenziali vittime.

  1. Azioni e indennizzi. Garanzie assicurative

Il tema delle azioni risarcitorie e dei relativi indennizzi è direttamente collegato alle altre disposizioni adottate in materia di responsabilità e di garanzie assicurative.

In generale, viene prevista una azione diretta nei confronti di chi ha intrapreso l’attività o della parte responsabile. Occorre, peraltro, ricordare che già la Convenzione sulla Responsabilità, dispone che può essere esclusa la responsabilità dell’operatore (e, quindi, dello Stato di appartenenza) qualora il danno sia effetto di una condotta gravemente colposa (gross-negligence) della vittima; tale norma viene spesso riprodotta nelle leggi nazionali in termini analoghi nei rapporti tra Stato ed operatore.

Sono, tuttavia, regolamentate anche azioni dirette nei confronti delle Compagnie assicuratrici (Olanda, Francia, Belgio, USA), tenuto anche conto che nella maggior parte degli schemi assicurativi previsti all’atto della concessione, è inserito anche direttamente lo Stato quale parte beneficiaria.

L’autorizzazione prevede in genere garanzie assicurative, in ordine alla copertura del rischio che possono essere predeterminate a livello normativo (ad esempio, il Regno Unito e la Slovenia prevedono una garanzia di 60 milioni di euro  per missioni standards,  che può essere incrementata per operazioni più rischiose, sulla base di moduli standardizzati).

Naturalmente, la garanzia copre i danni verso terzi e deve essere valida per l’intera durata della missione e non appare necessaria quando l’attività sia condotta direttamente o per conto dello Stato.

In Francia, l’ammontare dell’assicurazione obbligatoria è corrispondente a quello del tetto di responsabilità (tra i 50 ed i 70 milioni di euro), potendo, tuttavia, essere concessa  l’esenzione da tale obbligo quando non sia possibile ottenere  una garanzia assicurativa e per il periodo in cui i satelliti non mutino la loro posizione orbitale.

L’Australia obbliga gli operatori spaziali ad assumere garanzie assicurative sino all’importo più basso tra la perdita massima probabile o 750 milioni di dollari australiani.

Gli Stati Uniti hanno il regime più flessibile, prevedendo tre possibili opzioni: la somma più bassa tra la perdita massima probabile, l’importo massimo assicurabile in base al mercato mondiale a costi ragionevoli o 500 milioni di dollari.

Poiché lo Stato, in base agli accordi internazionali, è di norma considerato responsabile per i danni causati a terzi, in tali ipotesi è generalmente prevista  una azione di rivalsa nei confronti dell’operatore responsabile dei danni (Emirati Arabi Uniti, Francia) nel caso in cui lo Stato di lancio abbia dovuto indennizzare le parti danneggiate.

In Giappone e Corea il sistema è basato sulla responsabilità dell’operatore per i danni causati dalla caduta di un oggetto, di natura oggettiva, analogamente a quanto previsto dalla Legge francese.

Entrambe le normative dei due Paesi prevedono indennizzi da parte dello Stato sino ad un determinato ammontare – non specificato nelle rispettive legislazioni – quando i danni eccedano la copertura assicurativa.

In Francia, tuttavia, più che in ogni altro Paese, non sono previsti limiti all’ammontare degli indennizzi statali, a differenza, ad esempio, degli Stati Uniti, con un approccio che rivela chiaramente l’intento di proteggere l’industria spaziale.

In diverse leggi nazionali, come in Olanda, possono essere previsti modelli a responsabilità variabile, determinati caso per caso; prassi che se, da una parte, consente una maggiore flessibilità di cui possono beneficiare gli operatori; dall’altra, lascia aperta anche la possibilità ad una maggior discrezionalità ed a conseguenti rischi di discriminazione e di fenomeni corruttivi.

  1. Sanzioni

Il regime sanzionatorio è strettamente connesso al quadro normativo generale relativo alla autorizzazione e supervisione delle attività spaziali, con l’obiettivo di sviluppare la loro crescita ed attrarre imprese ed investitori anche mediante incentivi economici, ad esempio, mediante la totale esenzione fiscale dei contratti assicurativi relativi a tali missioni ed altri benefici fiscali per i finanziamenti a favore degli operatori del settore (come, ad esempio, previsto in Lussemburgo).

La previsione di sanzioni, in particolare di natura penale, si pone, naturalmente, in contrapposizione con le aspettative degli investitori, pur considerato il contesto di natura ambientale (nel contempo, estremamente delicato e pericoloso) in cui le attività dovranno essere svolte.

Pertanto, l’introduzione di responsabilità di natura penale (Danimarca, Sud Africa, Svezia, Regno Unito, Belgio, Ucraina, Australia), costituisce, di solito, una ipotesi meno frequente rispetto alla previsione di sole sanzioni civili di natura economica, per le ipotesi di mancato rispetto di disposizioni normative o delle condizioni stabilite in sede di autorizzazione.

Naturalmente, in tutti i casi, restano solitamente salve tutte le altre sanzioni derivanti dalle altre fonti normative nazionali.

  1. Giurisdizione

Le procedure autorizzative previste dalle legislazioni nazionali disciplinano, di norma, le attività spaziali svolte nel territorio dello Stato o esercitate da persone fisiche o giuridiche di nazionalità dello Stato o che vi hanno sede, o presso infrastrutture di Stati esteri o presso infrastrutture di loro proprietà, site sul territorio di un Paese straniero (in alcuni casi, per esempio gli Stati Uniti, in tale ultima ipotesi è previsto  che vi siano accordi specifici con il Governo di tale Stato).

La definizione di cittadini è usualmente quella adottata dalla Francia, vale a dire qualsiasi persona di nazionalità francese o con sede nello Stato, ma vi sono anche formule più estensive, come quella degli Stati Uniti, che vi fa rientrare anche entità straniere, ma sotto il controllo di persone fisiche o giuridiche statunitensi.

Talune legislazioni (Corea del Sud) estendono la propria giurisdizione anche a cittadini stranieri che intendano condurre il lancio al di fuori del territorio coreano, mentre altre (Cina) specificano che la Legge nazionale si applica a tutti gli oggetti spaziali lanciati nel territorio cinese ed a quelli lanciati all’estero congiuntamente dalla Cina ed altri Stati.

Al contrario, altri Paesi, come il Giappone, limitano strettamente la giurisdizione nazionale al territorio dello Stato, il che implica che un operatore giapponese che lanci o controlli il suo razzo o satellite da una struttura posta al di fuori del Giappone, non dovrà richiedere un’autorizzazione al proprio Stato di appartenenza (Belgio ed Olanda hanno una normativa simile, ma che prevede, in alcuni casi, una giurisdizione di natura personale).

E’ opportuno, altresì, precisare che il regime di responsabilità e degli indennizzi, oltre ad altri eventuali aspetti della legge interna favorevoli per le imprese, può determinare anche il meccanismo del c.d. forum shopping, quale criterio per individuare lo Stato ove l’operatore ritenga più favorevole essere giudicato per le proprie attività.

La combinazione del criterio della ratione loci (in base alla collocazione geografica) e ratione personae  (in base alla nazionalità) implica la possibilità di individuare due Stati responsabili per le attività svolte, qualora la cittadinanza differisca dal luogo ove le stesse hanno luogo.

Poiché l’articolo 6 del Trattato sullo Spazio utilizza l’espressione “Stato appropriato”, se ne è desunto che la responsabilità debba essere imputata ad un solo Stato, anche  per necessarie  ragioni di certezza giuridica.

Tuttavia, l’adozione di entrambi i criteri pressochè da parte di tutte le leggi nazionali, è idonea a coprire tutte le possibili ipotesi, anche se esse sono in genere prive della clausola contenuta, ad esempio, all’articolo 89 della Convenzione sul diritto del mare del 1982, relativa alla genuinità del collegamento tra operatore e Stato.

CONCLUSIONI

L’adozione di una legge nazionale risponde alle prescrizioni contenute nel Trattato dello Spazio, del quale sono parte tutti gli Stati impegnati in attività spaziali, che impone ai Paesi membri di assicurare che tutti gli enti non governativi rispettino i principi di diritto internazionale consuetudinario e le norme del Trattato.

La responsabilità oggettiva imposta agli Stati da tali accordi internazionali rende a sua volta necessario un ruolo vigile nei processi autorizzativi e di supervisione delle attività esercitati dai propri cittadini.

A tale primaria finalità si aggiungono le responsabilità di ogni singolo Paese in materia ambientale, in un  ambiente estremamente pericoloso, tale da imporre limiti stringenti per salvaguardare la sicurezza e la salute pubblica (di norma, sulla base delle misure di soft law elaborate dagli organismi internazionali in ambito ONU) e la necessità di regolamentare i profili risarcitori a favore delle vittime di incidenti, anche con appropriate garanzie assicurative.

Infine, tali  normative  hanno  anche l’obiettivo dichiarato di  promuovere  gli  affari  spaziali  nell’interesse  nazionale e di sviluppare l’industria del settore.

E’ importante che tali obiettivi ed esigenze siano perseguiti con giusta misura e rispetto dei principi di diritto internazionale in materia ambientale, di sviluppo economico e di sicurezza.

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Space-Law Avvocato Marco-Machetta Delimitazione spazio Cosmico
Avv. Marco Machetta

Avvocato esperto in diritto internazionale, diritto marittimo e commerciale. Ha collaborato con il Prof. Umberto Leanza, partecipando alle attività di studio e di ricerca della cattedra di diritto internazionale della Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, in particolare in materia di Diritto Internazionale del Mare, di regime giuridico dei satelliti e dell’orbita geostazionaria e sul regime giuridico dell’Antartide. Ha partecipato, in più occasioni, per conto del Ministero degli Affari Esteri, in qualità di esperto giuridico, ai lavori della Commissioni O.N.U. Uncitral (United Nations Commission on International Trade Law); è stato, altresì, membro della delegazione italiana ai lavori della Hague Conference on Private International Law.