Nell’occhio di Webb, le minuscole stelle del Tucano: per la prima volta osservate le stelle più piccole di un ammasso globulare

Nell'occhio di Webb Nel pannello a sinistra, immagine di una porzione del campo di vista osservato dal Jwst. I pannelli a destra mostrano immagini monocromatiche nel vicino e lontano infrarosso per la regione indicata dal riquadro in giallo nel pannello di sinistra. I cerchi blu e rosso indicano due nane brune. Crediti: A. F. Marino et al. ApJ, 2024

Analizzando dati ottenuti al James Webb Space Telescope, un team coordinato da Anna Fabiola Marino dell’Inaf di Padova ha osservato per la prima volta le stelle più piccole in un ammasso globulare, spingendosi addirittura agli oggetti che non sono stati in grado di attivare le reazioni nucleari, che definiscono chiaramente la sequenza delle nane brune. Lo studio su The Astrophysical Journal.

Gli ammassi globulari sono tra gli oggetti più affascinanti del cielo notturno e sono utilizzati dagli astronomi come laboratori per gli studi sull’evoluzione stellare. Nonostante la maggior parte delle stelle che li costituiscono siano deboli, i limiti imposti dalla strumentazione disponibile hanno a lungo confinato l’osservazione di questi oggetti a una porzione di massa relativamente piccola. Quindi, quello che sappiamo di questi antichi aggregati stellari costituisce de facto solo la punta dell’iceberg.

Come questi oggetti si siano formati agli albori dell’universo, quanto massicci fossero in origine, come abbiano formato popolazioni stellari diverse in composizione chimica, quali siano le proprietà delle stelle di massa più piccola e delle stelle “mancate” – cioè le nane brune – che non hanno acceso le reazioni nucleari, costituiscono tutte questioni irrisolte.

Grazie al James Webb Space Telescope rilevate le stelle meno luminose

Con l’avvento del James Webb Space Telescope (Jwst), lanciato con successo alla fine del 2021, le stelle meno luminose mai osservate in un ammasso globulare sono state finalmente rilevate dalle spettacolari immagini ottenute per 47 Tucanae. I risultati sono riportati in uno studio a guida Inaf in uscita su The Astrophysical Journal.

«Queste immagini incredibilmente profonde», dice Antonino Milone dell’Università di Padova, fra i coautori dello studio, «hanno rivelato le proprietà delle stelle di piccolissima massa, mostrando per la prima volta la sequenza delle nane brune: una scoperta di inestimabile valore per i modelli di evoluzione stellare e per l’analisi delle proprietà che marcano il “confine” tra le stelle e le nane brune».

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Emanuele Dondoglio e Anna Fabiola Marino, entrambi dell’Inaf,
indicano due nane brune all’interno del campo di vista osservato da James Webb Space Telescope.
Crediti: Antonino Milone/Univ. Padova

Con MirSpec a bordo del James Webb Space Telescope osservate le stelle più deboli

In parallelo, grazie allo strumento NirSpec a bordo del James Webb Space Telescope, è stato possibile osservare le stelle più deboli per le quali sono disponibili dati spettroscopici in ammassi globulari.

«Poiché gli spettri di stelle poco massive così fredde sono dominati da molecole di vapore acqueo, questi dati ci consentono di osservare acqua in stelle. Queste molecole sono ottimi indicatori del contenuto di ossigeno, rivelando che la variazione di abbondanza di questo elemento in stelle di piccola massa è simile a quella osservata in stelle di massa maggiore», spiega la prima autrice dello studio, Anna Fabiola Marino dell’Istituto nazionale di astrofisica.

«Questa scoperta è fondamentale per comprendere come si sono formati gli ammassi globulari nelle prime fasi di vita dell’universo. Il fatto che le stelle di massa più piccola mostrano le stesse variazioni chimiche delle stelle di massa maggiore suggerisce che le stelle con chimica peculiare osservate negli ammassi costituiscano una seconda generazione stellare», conclude Emanuele Dondoglio, giovane ricercatore postdoc dell’Istituto nazionale di astrofisica. «Questo implicherebbe una massa significativamente maggiore di quella che osserviamo oggi per questi fossili stellari, che potrebbero essere stati i mattoni che hanno costruito la Via Lattea».

FONTE Redazione MEDIA INAF

angela iantosca

Giornalista, Capo Redattrice di Economia dello Spazio Magazine,Economia del Mare Magazine,Space&Blue, Vivere Naturale Magazine.